SELENYA: L’OMBRA DI SVADHISTHANA Capitolo 4

in #ita5 years ago (edited)

ADULTA

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Tornando al tempio, la mente di Vaila era consumata dal pensiero delle carnose labbra di Arvinda, della sua pelle morbida, dei suoi capelli ribelli. Desiderava tutto di lei e più di ogni cosa desiderava possederla, farla sua, chiuderla nella sua stanza e non farla uscire mai.
Era un iniziato del culto e un fiore di loto da abbastanza tempo da sapere che pensieri di questo genere non erano graditi a Kundalini Kama. Ama e fa ciò che vuoi, questo era l’unico comandamento divino e la prima e fondamentale legge di Svadhisthana, valida per tutti i suoi figli. Valida, perciò, tanto per Vaila quanto per Arvinda: Vaila poteva certamente amarla e volerla tenere sempre solo per sé, ma altrettanto avrebbe dovuto volere la stessa Arvinda perché tale condotta fosse approvata da Dio e Regno. Il giovane conosceva abbastanza bene l’oggetto dei suoi desideri da sapere che difficilmente gli sarebbe stato possibile arrivare a tanto. Ciò nonostante, era intenzionato a fare tutto il possibile affinché Arvinda fosse sua e sua soltanto.
Fortunatamente, essendo praticamente cresciuto con la sua famiglia ed avendo successivamente svolto il proprio apprendistato al tempio sotto la guida di Avati, aveva avuto modo di accertarsi che, negli anni, nessun altro uomo le ronzasse attorno. D’altra parte, era anche riuscito, tempo addietro, a strapparle la promessa che al suo risveglio Arvinda si sarebbe donata a lui per primo, nella speranza poi di convincerla a rimanere anche l’unico. Essendosi risvegliato molto presto, sapeva che l’attesa sarebbe stata lunga, ma arrivati a questo punto iniziava a sembrargli infinita. Ogni volta che la vedeva, il suo bisogno di lei si faceva più intenso e intollerabile. Ogni volta che le era vicino, il desiderio di possederla gli obnubilava la mente e irretiva i sensi. E ancora lei non si risvegliava. Vaila iniziava a pensare che lo stesso Kundalini Kama volesse precludergli la realizzazione del suo più intimo desiderio.

Quanto sarebbe stato bello, invece che rientrare al tempio, dove disponeva, come ogni fiore di loto, di propri appartamenti, fermarsi a casa di Avati e passare la notte con Arvinda. Accompagnarla in camera, chiudersi la porta alle spalle e premervi contro il corpo della ragazza, coprendolo col proprio e divorandole il collo, gli zigomi e le labbra di baci appassionati. Afferrarle le natiche sode e sollevarla di peso, portandosi le gambe di lei attorno ai fianchi. Nutrirsi della pienezza del suo seno attraverso il lino leggero dell’abito, trattenere un turgido capezzolo tra i denti e lasciarlo solo facendola cadere di schiena sul letto. Spogliarsi di tutta fretta e rimanere un momento ancora in piedi ad ammirarla lì, tra le lenzuola, i ricci scuri sparsi ad aureola attorno al viso, il volto arrossato di eccitazione e pudore, mentre le mani timidamente giocano col bordo della veste, incerte se proseguire da sole o attendere un suo comando… farle capire, con un cenno, di sollevare il vestito e posare infine per la prima volta lo sguardo sulle sue nudità… Arvinda, meravigliosa Arvinda… finalmente nuda, finalmente libera, finalmente sua...

Perso tra i suoi pensieri peccaminosi, Vaila aveva quasi dimenticato di avere un’assegnazione in programma per quella notte. Rientrando nei suoi appartamenti, trovò la donna già seduta sul bordo del letto. Come gran parte delle devote che godevano delle sue attenzioni, era una donna non più molto giovane, ma ancora discretamente piacente, con lunghi capelli castani e un fisico che si manteneva tonico nonostante l’età. Vaila le sorrise sornione e le si avvicinò senza esitazione. Anche stanotte non avrebbe avuto tra le braccia la donna che desiderava, ma la sua lussuria avrebbe comunque trovato soddisfazione.
Nell'estasi del piacere pregò, come sempre, di trovarsi presto avvolto dalle cosce di Arvinda e poiché la donna che aveva richiesto i suoi servigi era interessata solo alla mera carnalità, raccolse in sé il potere divino sprigionato dall’amplesso e lo diresse, come faceva ormai da tempo, verso la Città Imperiale.

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Il giorno del suo sedicesimo ritorno di luna, Arvinda si svegliò non più ragazza bensì per la prima volta donna.

Inizialmente, fu pervasa da una profonda angoscia. Tutta l’ansia e i timori per il futuro, per le aspettative e le responsabilità della vita adulta, per le promesse che aveva fatto da ragazza e che ora avrebbe dovuto mantenere le si accumularono nella mente, provocandole una grande confusione. Rimase a lungo seduta sul bordo del letto, cercando inutilmente di mettere ordine nei propri pensieri, ma incapace di venirne a capo, si ributtò infine tra le lenzuola sbuffando. L’incongruità di quella reazione così infantile, di fronte al fatto di essere divenuta adulta, le strappò suo malgrado una risata. Allentata la tensione, liberò finalmente la mente abbastanza a lungo da tornare al sogno che l’aveva risvegliata.
Poco a poco, ritrovò quella sensazione di benessere e completezza che aveva provato tra le braccia dell’uomo senza volto e senza nome, arrivando persino a percepire un’eco dell’aura arancio che aveva benedetto il loro amplesso. Chiuse gli occhi e lasciò che la purezza e la gioia di quei momenti riportassero la pace nella sua mente agitata. Fece un respiro profondo e finalmente capì ciò che era realmente accaduto.

Kundalini Kama, l’Amore Universale, il Solo e il Tutto, la Forza e la Dolcezza, lo specchio della dualità del mondo, amato e amante del Suo Popolo, l’aveva toccata col suo potere e accolta tra i suoi devoti. Arvinda l’amava da sempre, né poteva essere diversamente: la Fede dei suoi genitori era forte e Kiran e Arvinda erano cresciuti circondati d’Amore. D’altra parte, Avati e Navin si erano conosciuti proprio la notte dell’Azimut di Luna Arancio, più di sedici anni prima, e assieme avevano prestato i loro corpi e le loro anime affinché lo spirito divino potesse benedire la più sacra delle notti Svadhisthane. Forse i gemelli erano addirittura stati concepiti quella notte, all’ombra del kundala, anche se in realtà tutto il tempo che i loro genitori avevano poi trascorso assieme nei giorni seguenti rendeva difficile stabilirlo con precisione.
In ogni caso, Arvinda aveva sempre confidato nel disegno del proprio Dio e sapeva che se aveva scelto proprio questa notte per chiamarla a sé, questa mattina per farla risvegliare donna, allora non poteva esistere momento più giusto per lei. Forte di questo ritrovato senso di sicurezza e fiducia nel futuro, Arvinda finalmente si alzò dal letto e iniziò a prepararsi per la giornata. Era un giorno di festa a prescindere dal suo risveglio, anche se quest’anno l’avrebbero celebrato solo lei e la madre, senza “i loro uomini” impegnati a Kasiha.

Mentre si sciacquava il viso in una bacinella, si ripromise di non temere i giorni a venire. I suoi cari le sarebbero stati accanto e avrebbero sostenuto ogni sua decisione. In famiglia, erano i maschi ad aver ereditato il gene vagabondo: come il padre, Kiran amava viaggiare e scoprire posti, lingue, culture e persone sempre nuove. Arvinda, invece, come la madre, era esattamente dove voleva essere. Le due donne avevano in comune la stanzialità, la bellezza, il buonumore e soprattutto l’amore per la vita e la natura, che Avati celebrava quotidianamente tramite l’unione dei corpi e Arvinda nel suo rapporto con semi e germogli. Sperava che nulla sarebbe realmente cambiato nella sua vita e che avrebbe potuto proseguire i suoi studi erboristici entrando, finalmente, a far parte dei Botanici dell’Orto.
Forse però la madre avrebbe voluto che Arvinda, dopo il risveglio, seguisse perlomeno un ciclo di apprendistato al tempio, prima di scegliere la propria strada, per acquisire quantomeno le conoscenze necessarie a celebrare al meglio il proprio credo per il resto della vita. La giovane donna iniziò quindi a chiedersi se fosse pronta a questa nuova esperienza. Ricordarsi di come Kundalini Kama agisse sempre per il meglio era stato semplice, ma questo andava al di là dei progetti che il Dio aveva in serbo per lei. Questa era una sua scelta e sua soltanto. L’Amore le aveva aperto la porta, ma solo lei poteva scegliere che strada intraprendere. Ama e fa ciò che vuoi, questo era il comandamento.
E poi c’era Vaila. Arvinda ormai sapeva che non desiderava Vaila come amante e concedersi a lui per la sua prima esperienza sarebbe stato un errore. Il potere del giovane era forte e tutto il tempio ne era ammirato, o almeno così diceva Avati, ma il tempo in cui Arvinda si immaginava tra le sue braccia era finito ormai anni addietro. Le dispiaceva rompere una vecchia promessa, ma non avrebbe celebrato degnamente Dio unendosi a Vaila solo per dovere. Doveva volerlo, perché avesse un senso e un significato. E Arvinda non voleva.

Cercando di dare un senso e una forma compiuta ai folti ricci ribelli, una delle poche cose che aveva ereditato dal padre, Arvinda maturò quindi la decisione di non svelare, per ora, a nessuno il proprio risveglio. Si sarebbe presa del tempo, non più di qualche giorno, per riflettere e meglio prepararsi ad ogni nuova sfida, oltre che per trovare il modo giusto di respingere inequivocabilmente Vaila, cercando però di non ferirlo. Fece quindi un ultimo, profondo respiro e sorrise, uscendo per raggiungere la madre al tavolo della colazione.

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Le ore seguenti trascorsero in serena allegria. Avati si era tenuta la mattinata libera, per passare un po’ di tempo con la festeggiata. Voleva assaporare ogni momento che le rimaneva per godersi i figli, finché erano ancora i suoi ragazzi, prima che raggiungessero l’età adulta e prendessero ciascuno la propria strada. Kiran era a Kasiha da circa sei mesi e le mancava terribilmente. Fortunatamente Arvinda non sembrava intenzionata ad andare da nessuna parte, per ora.
Era strano. Nessuno più di Avati poteva testimoniare quanto fosse meraviglioso poter celebrare la divinità in ogni sua forma e con tutta se stessa e ricordava benissimo il fervore con cui, più o meno all’età di Arvinda, aveva atteso il proprio risveglio. Desiderava il meglio per i suoi figli e sapeva di aver cresciuto due bravi ragazzi, che avrebbero glorificato Dio e trovato in Lui tutto il piacere che meritavano. Ma al contempo una parte di lei sperava che restassero i suoi ragazzi ancora per qualche tempo, qualche giorno in più, qualche momento.

Arvinda era inizialmente preoccupata che la madre, sempre così attenta e perspicace, oltre che figlia prediletta di Kundalini Kama, capisse tutto sin dal primo sguardo. Fece quindi del suo meglio per mostrarsi la solita, spensierata Arvinda e nel frattempo studiava attentamente il volto della madre. La colazione trascorse, però, senza che Avati desse alcun segno di sospetto o incertezza e Arvinda, trovandole negli occhi solo il riflesso del suo grande affetto per lei, riuscì a rilassarsi e godersi la giornata tra donne, allontanando dalla mente ogni pensiero riguardo il risveglio e il proprio futuro.
Fu solo nel pomeriggio che tutte le sue preoccupazioni riemersero con rinnovato vigore. Erano appena rientrate dopo un lungo giro al mercato tra stoffe, nastri e spezie profumate, quando giunse un messaggero dal tempio con una lettera di Navin, suo padre. Avati scorse velocemente la missiva, evitando di leggerla subito ad alta voce nel caso contenesse l’espressione di sentimenti che, per quanto pii, una figlia avrebbe potuto non apprezzare appieno se associati ai propri genitori. Verso la fine, però, le si illuminò il volto di gioia e condivise immediatamente la notizia con Arvinda: “Kiran e tuo padre tornano a Svadhisthana per un emiciclo! Navin dice di doversi fermare alla Città Imperiale per qualche giorno, ma Kiran torna direttamente a casa e potrebbe arrivare già dopodomani.”
L’entusiasmo di Arvinda inizialmente rispecchiò quello della madre e le due donne risero felici al pensiero di riavere presto la famiglia riunita. Il suono riportò però un ricordo alla mente di Arvinda: la risata che aveva udito in lontananza all’inizio del sogno di quella notte, nella quale le era parso di riconoscere il fratello. Sul momento non vi aveva dato peso, ma era tremendamente ovvio. I gemelli non erano rari a Svadhistana ed era assai frequente che si risvegliassero assieme. La risata che Arvinda aveva udito non sembrava quella di Kiran, era Kiran, che condivideva quel momento con lei come ogni altro momento significativo della loro vita.
Arvinda era certa che, a differenza sua, Kiran non avrebbe avuto alcun motivo per nascondere l’evento, anzi. Le fu immediatamente chiaro che, se voleva salvaguardare la propria scelta di riservatezza, doveva intercettare il fratello prima che arrivasse nella capitale e desse alla madre la lieta novella.

Continua…


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Selenya: Le sei ombre della Luna

L’arte di Selenya

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Olio su acrilico
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La Luna Rossa di Tlicalhua by @gianluccio
Cap. 1: Il Colpo
Cap. 2: La prigionia
Cap. 3: L'accordo
Cap. 4: Sussurri nel vento
Cap. 5: Il silenzio

La Luna Blu di Kasiha by @kork75
Cap. 1: Un anno prima…
Cap. 2: L'osteria il corallo blu
Cap. 3: Il confine
Cap. 4: Il maestro
Cap. 5: L’ultimo giorno di luna…

La Luna Arancio di Svadhisthana by @imcesca
Cap. 1: Prologo pt. I
Cap. 2: Prologo pt II
Cap. 3: Risveglio
Cap. 4: Adulta
Cap. 5: Kama

La Luna Bianca di Alfhild by @acquarius30
Cap. 1: Concentrazione e addestramento
Cap. 2: Gelido come il cuore del Marchese
Cap. 3: Apparizioni
Cap. 4: L'ira di Freyja
Cap. 5: Caos

La Luna Dorata di Porpuraria by @coccodema
Cap. 1: L'inizio di una nuova vita
Cap. 2: la trasformazione
Cap. 3: il viaggio
Cap. 4: La scoperta
Cap. 5: I prescelti

La Luna Grigia di Rak-Thul by @mirkon86
Cap. 1: Leggenda e curiosità
Cap. 2: Il verso dei tamburi
Cap. 3: La fuga
Cap. 4: Domande e (sempre meno) risposte
Cap. 5: Artefatti e premonizioni

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"Ama e fa ciò che vuoi"...Sotto il segno di Kundalini Kama 😜...Grande Capitolo! Complimenti 😉👍

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