Gino l'imbianchino (un racconto by @kork75)

in #ita4 years ago

Da anni ormai in paese, quasi tutti sfoderavano un sorriso sarcastico, quando si parlava della loro piccola stazione; infatti era un po' fuori mano: si trovava a sei chilometri di distanza dal primo centro abitato e altri quindici la separavano dalla città. Nella stazione transitavano solamente una decina di convogli al giorno e solo quattro vi facevano sosta. La tratta tra la stazione e il prossimo paese, spiegò il Sindaco all’Ispettore delle ferrovie, era troppo lunga e per questo i suoi concittadini preferivano prendere il pullman.
“Dobbiamo tinteggiare i muri, ma prima bisogna riparare il tetto”, spiegò il manovale delle Ferrovie.
“L’abbiamo rabberciato con un tendone di nylon, ma quando piove, è tutto un pantano”, commentò il Capo stazione valutando lo stato pietoso in cui versava l’edificio, mentre l’ispettore adirato appuntava il tutto.
“La biglietteria è funzionante?” Provoco l’Ispettore guardandosi intorno con una certa insofferenza.
“Certo che c'è! Però il problema è che non viene mai nessuno…”, ammise tristemente il Capo Stazione. La stazioncina effettivamente era fin troppo decrepita; l'acqua sgorgava copiosa da una vicina conduttura e alcuni muri esterni alla sala d’aspetto lasciavano intravedere inquietanti macchie d’umidità. Anche il tetto, la parte che preoccupava di più all’Ispettore, non parve offrire garanzie di lunga durata: quando pioveva, tutto intorno si trasformava in un acquitrino.
“Ispettore, ho messo dei teli di nylon in alcuni punti della pensilina per evitare questa proliferazione, ma è stato tutto inutile. Per la manutenzione del verde, nemmeno con i diserbanti abbiamo avuto ragione della vegetazione che ora invade i binari. L'erbaccia e le sterpaglie crescono, bisce e topi abbondano”, rincarò l’amara dose l’operaio.
Il Sindaco giunse in soccorso del povero e sconsolato Capo Stazione:
“Ispettore senta, le origini di questa curiosa stazioncina risalgono agli Anni Venti quando l'appezzamento era di proprietà di un ricco proprietario terriero. Nelle intenzioni qui doveva sorgere un deposito per il trasporto della merce su rotaia e così si costruì la stazione; luogo che d’allora ha accompagnato la vita della nostra gente. Come Comune siamo responsabili della sala d’aspetto: struttura di nostra proprietà…”
“Sindaco la interrompo subito… Non spetta a me la decisione se chiudere o non chiudere la stazione io devo solo valutarne l’agibilità. Oltre al tetto anche in muri vanno per lo meno rimbiancati e voi come amministrazione comunale potete decidere autonomamente cosa fare della vostra sala d’aspetto”, troncò l’ispettore.
“Quindi non la volete chiudere?” Reclamò titubante il Sindaco.
“Senta Ispettore, purtroppo la chiusura secondo il mio parere è inevitabile. Passata l’estate non credo che sarò qua a riaprirla”, si inserì il Capo Stazione che continuò:
“Agli inizi di quest'anno ho chiesto di essere trasferito, ma ancora non mi è arrivata risposta… E a settembre vado in pensione. A questo punto sembra quasi logico domandarsi che cosa si fa tutto il giorno qua da soli, ma se si deve tenere aperti bisogna assolutamente sistemare il tetto e rintonacare i muri, ovviamente fermando la perdita d’acqua. Poi se il Sindaco risistema la sala d’aspetto… La struttura può tornare a essere utile e funzionale”
“Allora è deciso… Può partire la ristrutturazione”, concluse l’Ispettore.
“Se il Sindaco è d’accordo ho in mente anche a chi affidare la pitturazione dello stabile di loro competenza”, affermò il Capo Stazione che spiegò:
“E’ da tempo ormai che a prendere il treno c’è un solo viaggiatore fisso. Parte alla mattina con la littorina delle cinque, ritorna alla sera, con l'ultimo treno delle ventuno. In tutti questi anni ci saremo scambiati sei parole al massimo. L'unica volta che gli ho chiesto dove andava mi ha risposto: a donne; lamentandosi poi della chiusura della sala d’aspetto e del fatto che doveva aspettare il treno al freddo e al gelo. Si chiama Gino, è un imbianchino. Gino arriva con un vecchio “Ciao” tutto distrutto, lo posa in un angolo furi dalla biglietteria e impreca alla porta sbarrata della sala d’aspetto. Penso che gli farebbe piacere lavorare alla sua riapertura”.


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Immagine CC0 creative commons

Gino, dopo la promessa di ottenere le chiavi della sala d’aspetto, in modo da poter attendere il treno del mattino al caldo, accettò il lavoro di tinteggiatura. L’imbianchino, si presentò alla stazione il sabato successivo accompagnato da un ragazzino sui quindici anni vestito in maniera alquanto stravagante: jeans larghi a vita bassa, felpa più grande di almeno una taglia, berretto da baseball, una catena con lucchetto al collo e scarpe da ginnastica.
“Capo, lui è Max mio nipote, mi darà una mano… Pennello e pittura bianca… Verrà come nuova”, spiegò Gino ordinando con un gesto della mano al ragazzo di andare a scaricare l’attrezzatura dall’Apecar.
Il Capo salutò i due raccomandandosi che il lavoro fosse finito per lunedì mattina.
“Pittureremo professionalmente le pareti, senza sbavature né gocciolare: sarà una sala d’aspetto di lusso. Ma mi raccomando, voglio stare al caldo quest’inverno, come pattuito intesi?”, concluse l’imbianchino, mentre il Capo Stazione giurava salutando.
Gino appoggiato alla porta della sala d’aspetto seguiva con occhio critico il lavoro del nipote, l’uomo era un vecchio graffitaro anni Ottanta e agli occhi di Max era un mito, un esempio da seguire.
“Zio raccontami dei writers della tua generazione”, insistette il ragazzino intento a spazzolare la parete dalle stuccature prima di passare alla mano d’isolante.
“È difficile spiegare il credo di chi dipingeva come noi. Usavamo la parola dipingere piuttosto che fare graffiti, sai perché?” Domandò l’uomo e senza dare il tempo a Max di rispondere spiegò:
“Il nostro era un movimento molto individualista per cui nessuno può dartene una definizione. Io posso raccontare solo la mia esperienza personale che non è detto possa essere condivisa, negli ideali, dagli altri writers. Il movimento conosciuto come arte spray arriva i Italia nei primi anni Ottanta, assieme alla breakdance e alla musica rap: sono gli albori della cultura hip-hop. Capisci quello che dico?” Domandò accendendosi una sigaretta.
“Zio, dai tuoi tempi il movimento ha subito un'evoluzione in Europa oltre che negli Stati Uniti. I soggetti, la metodica e le tecniche del dipingere illegalmente sono cambiati. Le bombolette spray, per esempio, da semplice oggetto di ferramenta sono diventate uno strumento artistico, dotato di nebulizzatori che creano getti di diverse dimensioni. Adesso è di moda dei soggetti ripetuti in modo ossessivo un numero infinito di volte… A me personalmente piace… L’ultimo treno che ho fatto che bomba di lavoro: un capolavoro”, rispose Max finendo soddisfatto il trattamento del muro, dopo averlo scrostato, stuccato e rimosso completamente il vecchio strato di tempera.
“Le nostre erano opere d’arte. Le tue e quelle dei tuoi amichetti della vostra crew le devo ancora catalogare”, sottolineò Gino con un sorriso sarcastico
“Arte? Non si è mai risolta la polemica: i graffitari sono artisti o vandali che vivono nell’illegalità?”
“I tempi sono cambiati e che la vostra sia arte è un discorso da riprendere con calma…. La parete comunque ora è pronta. Adesso ti lascio solo, si è fatta sera, ci rivediamo qua domani mattina per la scelta della idropittura e poi imbianchiamo”
“Tranquillo zio posso fare da solo… Non venire domani. Faccio io, ti fidi?”
“Certo che mi fido. Allora ci si vede lunedì insieme al Capo stazione e al Sindaco. Ciao Max e ricordati di chiudere tutto quando finisci”, ribatté l’imbianchino salutando e sgasando in sella al suo motorino, mentre il sole tramontava.


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Immagine CC0 creative commons

Era di notte, mentre gli altri dormivano che in compagnia dei suoi amici Max si sentiva veramente bene, e poteva dare sfogo con i suoi graffiti alla grande energia che portava dentro. Per molti il loro era un atto vandalico, ma chi lo realizzava quell’atto non lo faceva con spirito distruttivo c’era rispetto per alcuni luoghi, i writers come il giovane Max avevano un’etica tutta loro: era il loro modo di essere liberi, di comunicare alla gente le loro emozioni. Così, da profeta dell’dell'hip-hop, non aveva resistivo alla tentazione di quella parente vergine da riempire con i suoi colori.
Il ragazzo, appena il rumore della marmitta del motorino dello zio non si sentì più si mise subito in azione e comincio a disegnare a colpi di bomboletta spray il suo colorato murales. A opera compiuta, soddisfatto della nuova sala d’aspetto, il giovane graffitaro riassunse il tutto con la sua sigla “Maxpiù”, per poi girare un video e postarlo sui social condividendo la sua ultima impresa:
“Amici del mio canale... Vi presento la nuova opera di Maxpiù. Lo sapete che essere writer per me è un modo d’interpretare la vita e non un disagio da esprimere, ma la voglia di vivere in un mondo più allegro e più colorato. Io con la politica non ho niente a che fare. Ho le mie idee, ma le tengo per me, e sui muri o sui vagoni dei treni lasciò i miei sogni, non gli insulti: che non mi piacciono. Arte, insomma, almeno secondo me, così ho deciso di vivacizzare con una mano di colore i grigi muri di questa piccola sala d’aspetto”.
Naturalmente a lavoro compiuto non la pensarono allo stesso modo il capo Stazione e il Sindaco, ma Gino da vecchio graffitaro fu felice di assumersi tutta la responsabilità del fatto coprendo il nipote e assicurandosi così una bellissima sala d’aspetto in stile hip-hop.


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