Velluto rosso, gambo flessuoso

in #ita4 years ago

Questo racconto, che forse è una fiaba, era stato scritto nel luglio 2012 senza uno scopo preciso.

Lo utilizzo oggi, con poche modifiche, per partecipare a Theneverendingcontest n° 89 S4-P8-I2 di @storychain perchè soddisfa le indicazioni del vincitore precedente @kork75

Tema: Le rose
Ambientazione: Cortile del castello

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CC0 Creative Commons

Velluto rosso, gambo flessuoso

C'era una volta, all’interno del cortile di un magnifico castello, un giardino in cui fiorivano ogni anno delle rose magnifiche. Queste rose, di ogni genere e specie conosciuta, profumavano di buono e adornavano di colore e bellezza le aiuole del cortile, dove i nobili cortigiani amavano passeggiare. I boccioli più belli venivano raccolti ogni mattina per adornare la casa e la tavola degli aristocratici proprietari, che andavano fieri dello splendore di quei magnifici fiori.
Il vento birichino, però, mentre accarezzava le rose e faceva l'amore con i loro pollini, aveva portato clandestinamente, fra le sue anche sinuose, i semi di un piccolo fiore di campo, lo aveva adagiato fra quelle meraviglie e aveva pregato il sole di cullarlo e il seno della terra di nutrirlo.
Era nato un fiorellino diverso dalle nobili rose, con lo stelo lungo e sottile, ricoperto di morbida peluria, che delle dure spine delle sue vicine sorelle non aveva nemmeno l'ombra. Aveva, invece, pochi petali intessuti del più fine velluto rosso scarlatto, sottilissimi e quasi trasparenti, e non robusti e numerosi come quelli delle rose che crescevano accanto a lui. La sua testolina era ben visibile al centro della sobria corolla, e lui amava l’esiguo numero di petali che la componevano, perché così, fresca e leggera, aveva la vista libera di spaziare tutto attorno e di osservare con chiarezza se stesso e le altre rose vicine a lui, la madre terra, il cielo, il sole, i bordi in pietra dell'aiuola e le alte mura del castello.

A differenza sua, le nobili sorelline avevano tanti di quei petali attorno alla testa e di un tessuto così pesante e dai colori così soffocanti che a mala pena restava sulla cima uno spazietto grande quanto una capocchia di spillo per osservare un millimetro di cielo ed essere accecati per un solo momento dal passaggio del sole. Solo invecchiando la corolla si allargava, facendo venir fuori un po' più la testina che osservava un pezzetto più largo di mondo; ai padroni, però, non piacevano le rose sfiorite, e ogni mattina i giardinieri le tagliavano via ammucchiandole in un secchio a marcire.
Intanto il fiore dal lungo stelo sottile cresceva e osservava e con gli occhi pieni di stupore iniziava a sussurrare nel vento parole affinché le recasse alle sorelle vicine, le rose, tentando di discorrere con loro della vita. Il vento sorrideva beffardo mentre consegnava i messaggi del fiore, la cui voce semplice e diretta si discostava non poco da quella melensa e flebile dei nobili fiori.

“Sorella, sorella”, chiedeva al bocciolino bianco, “perché il cielo è azzurro?”

Non lo so, gli rispondeva quello, io non lo vedo bene, ma diventa giallo quando passa il sole davanti ai miei occhi: chiedi alla sorellina gialla, forse lo saprà.

“Sorella, sorella”, chiedeva allora il fiore alla rosa gialla, “perché il sole è giallo come te?”

Non lo so, rispondeva quella, forse per imitare la mia bellezza, infatti mi guarda e subito scappa a nascondersi perché non è capace di eguagliare il mio colore splendente.
“Ma sorella”, rispondeva allora il fiore, “io lo vedo il sole, attraversa tutto il cielo e cambia colore dal giallo all'arancio al rosso al rosa. E' bellissimo!”

Ma cosa dici piccolo bocciolo, rispondeva allora una bella rosa quasi fiorita, il sole non cambia colore!

Ha ragione lui, invece, interveniva quindi una vecchia rosa sfiorita, adesso che la mia testa è scoperta dalla vecchiaia e presto i miei giorni saranno finiti, vedo anche io i movimenti del sole. Saggio è il bocciolo che così piccolo già se ne accorge.

Ma che dici, vecchia? Ti si son già sfioriti i petali? Le rispondevano, E' l'invidia per la nostra giovane bellezza a farti parlare! Lui sarà di sicuro una rosa difettosa se non è cieca come noi: è un bocciolo nato già sfiorito!

Infatti le rose crescevano lunghe lunghe su uno stelo ligneo ed inflessibile e dritte com'erano non riuscivano a vedere nemmeno ciò che le circondava, tranne che il riverbero dei colori delle rose vicine ed il rosso vivo del piccolo fiore, scambiato per questo per una rosa. Ma il piccolo fiore in comune con loro aveva solo il colore: il suo gambetto era leggero, sottile e flessuoso, e grazie ad esso poteva girarsi a guardare tutte le cose intorno e farsi domande sul mondo. Aveva visto le rose e sapeva bene di essere diverso da tutte loro, con i suoi quattro petali che lasciavano la testina scoperta ed il suo stelo peloso e senza spine. Ma restava zitto, perché aveva capito che nessuno avrebbe più parlato con lui se avessero capito che non era una rosa.

Intanto cresceva e osservava e faceva strane domande alle pigre rose e vedeva che ogni giorno qualche giovane sorellina veniva recisa e portata via in virtù della sua novella e passeggera bellezza. Non gli piaceva fingersi una rosa, ma non poteva certo dire Hei, non sono una rosa! Sono un'altra cosa! Se non sapeva poi cosa in realtà era.

Aveva paura di venire colto dai giardinieri prima di scoprirlo, quando sarebbe stato ormai troppo tardi.

Eppure dentro di se sentiva che non doveva crescere rigido e spinoso e cieco e bello come le sue sorelle, perché la sua bellezza risiedeva nella capacità di poter osservare il mondo.

Una volta aveva chiesto in un flebile sussurro ad una sorellina più piccola: Ma secondo te io sono una rosa? E poi ad una più grande, quasi del tutto sfiorita: Tu pensi che io sia una rosa? Le domande, percettibili poco più del rumore di un pensiero, avevano raggiunto appena i destinatari, che oltre che cieche erano anche un po’ sorde: le rose non ponevano domande, specialmente domande tanto sgradevoli.
Il giovane bocciolino, ancora circondato di sepali verdi chiusi stretti attorno alla corolla, rispose prontamente con uno stridulo sussurro Certo che lo sei! Che altro potresti essere in mezzo a tutte noi?!
Mentre la rosa sfiorita non fece in tempo a rispondergli, perché per lo sforzo di girarsi a guardarlo si mise controvento e le caddero gli ultimi petali dalla corolla. Solo la brezza leggera ne colse l’ultimo sussurro: Orroreeeeee!!!, giunse come un'eco lontana al piccolo fiore dal lungo stelo sottile. Aveva forse sentito male? si chiese: cosa mai suscitava orrore a guardarlo? Forse la gracilità del suo stelo? O forse la trasparenza dei suoi petali delicati? In effetti, a volte, si vergognava di non somigliare a quelle magnifiche rose e sperava di non essere notato dai giardinieri perché temeva che se lo avessero colto le sorelline rose lo avrebbero visto e deriso. A volte, poi, credeva davvero che la sua vita non avesse alcun senso, diverso e solo com’era, e piangeva, confidando all’aurora le sue pene.

Un giorno si decise: mai più avrebbe fatto quelle domande, promise; per un po' di tempo dimenticò di essere sè stesso e cercò di comportarsi da brava rosa anche lui.
I suoi nuovi panni erano tristi e faticosi: quanto infelice era quel restare immobile tutto il giorno, ritto sul gambo e fermo con la corolla, a guardare sempre lo stesso piccolo spicchio di cielo e ad essere accecato dal sole per un solo istante del dì. I suoi petali sottili e delicati non lo riparavano abbastanza, il gambo non si nutriva più dal terreno come prima. Pian piano cominciava ad avvizzire per l’inedia e la malinconia, anche se il tempo non mutava la sua corolla lasciandola intatta invece che aperta come quella sfiorita delle altre rose.

Il dolore della lenta morte era tale che infine si disse Ora basta! Era troppo: fingere non serviva a niente: ricominciò a muoversi, ad essere sè stesso, ci provò. Però era stato immobile per così tanto tempo che il suo stelo un tempo flessuoso si era irrigidito e gli doleva ad ogni alito di vento, anche spezzandosi, a volte. La sua testolina non sapeva più seguire il sole ed il cielo e trascorreva più tempo a riposarsi col capo rivolto all'ingiù che eretto.

Quando sentiva che le forze lo abbandonavano e non gli restavano più molti giorni da vivere, capitò che mentre i giardinieri raccoglievano gli ultimi boccioli della stagione ormai al termine, i nobili proprietari facessero una passeggiata portando con se la piccola principessa, che si diresse proprio verso il piccolo fiore.

Nonna, che rosa è questa qui? Sembra così delicata eppure è così carina!

La nobile dama sorrise: Tesoro mio, questa non è una rosa, che ha bisogno di tante cure per essere bella e che dura solo un giorno e poi non serve più a nulla. Questo è un papavero, un piccolo fiore di campo che cresce senza alcun aiuto perché prende la forza di farlo dentro di sé, e dalla terra e dal sole e dal cielo. E’ un fiore che non fa odore e che se viene raccolto perde all'istante i suoi petali, tenuti insieme dalla vitalità del mondo a cui si aggrappa. Eppure è il fiore più bello dell'estate, perché resta rosso anche quando tutto intorno diventa giallo e secco e non richiede alcuna cura per fiorire e canta le sue melodie più belle nei biondi campi di grano.

Posso raccoglierlo nonna?

Tesoro, se lo cogli morirà.

Era un papavero...!

Quale suono avrebbe potuto mai essere più dolce?!

Era un papavero e non lo sapeva, era un papavero ed aveva vissuto una vita intera a cercare di essere una rosa!

Lui non era nato per morire in un vaso, lui era nato libero di cullarsi nel vento, di piegare lo stelo e di guardare il sole dall'alba rosa al rosso tramonto.
Lui non aveva un profumo, perché era un papavero, ma sentiva ogni odore attorno a lui, dei fiori, dell'erba frizzante, della terra e dei minerali, l'odore pungente degli animali. Poteva cantare con la sua voce dolce e decisa fra le bionde spighe d'agosto e recitare versi in rima con quelli delle cicale e prendere il sole schermandosi coi suoi petali trasparenti e rossi nella calura del mezzodì.

Era un papavero, un papavero!!! Era un...

Cadde un petalo.

Lo stelo perse forza...

Cadde un altro petalo, mentre il capo sfiorato dal vento si sollevava nell'aria.

Moira, hai visto? Adesso si sono staccati tutti i petali perché lo hai strappato dal terreno!
Ma nonna Cassandra, era così bello che lo volevo tutto per me! Rispose la bambina capricciosa seguendo la nonna in casa. Senza nemmeno uno sguardo di rammarico gettò via quell'esile stelo ormai inutile, privo di ogni petalo e di ogni grazia.

Lo raccolse il vento che lo adagiò in terra raccogliendo il suo ultimo sussurro di rimpianto e di speranza.

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