IMMIGRATO

in Olio di Balena3 years ago

Questo racconto è stato scritto per la partecipazione a The Neverending Contest n°131 S1-P7-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @serialfiller

Tema: Povertà
Ambientazione: Milano


Vivo in questa giungla metropolitana da qualche tempo, ma ancora non sono entrato in sintonia con il movimento d’ingranaggi di questa catena di produzione che non lascia spazio ai sentimenti.

Io non sono della zona e ambientarsi è ancora più duro quanto la gente ti isola ed emargina dal tessuto sociale, un filo sfilacciato che penzola fuori dalla trama del tessuto e che invece di rammendare viene strappato e gettato a terra. Non sono pratico delle usanze di questo lato del Mediterraneo, ma è sicuro che fuggire dalla povertà per ritrovarmi ancora nella stessa situazione è veramente umiliante.

Discendo da una famiglia malese, che ha sacrificato le proprie radici e ogni avere per riuscire a fuggire dai continui conflitti intestini, così da costruire una propria vita o quanto meno averla in salvo. Hanno affrontato molte scelte difficili per raggiungere il Marocco e ritrovarsi a vivere ancora una volta in maniera disumana, senza alcuna speranza di redenzione dalla sorte che non si erano scelti.

Io, che avevo da poco tolto le fasce e abbandonato la mia vita da neonato, dedicavo tutto me stesso nel far tesoro di un’istruzione scolastica e nel cercare di mendicare qualche soldo per aiutare i parenti. Sono dovuto scendere a compromessi con la morale che mi stavo costruendo e con gli insegnamenti dei miei genitori quando, di tanto in tanto, commettevo dei piccoli furti a danno di quegli avidi e ingordi turisti con lo stomaco abbondantemente ricolmo dei cibi di cui non ho mai potuto godere il sapore.

Allora vedevo l’obesità come un sintomo di ricchezza e le persone sovrappeso come degli avari che sfruttano le condizioni di povertà dei posti che frequentano per sentirsi superiori; ora so che la condizione degradante nella quale ero costretto a vivere non è la stessa per tutto il mondo, qui dove vivo ora anche una persona povera può ingrassare, anzi è un sintomo di solitudine e insoddisfazione quando qualcuno sostituisce il cibo alla propria felicità. Devo dire che da quando abito da questo lato del Mediterraneo anch’io, che ho sempre vissuto con lo stomaco vuoto, ho aggiunto qualche tacca alla mia cintura.

I miei amati genitori che avevano sempre vissuto una vita di stenti e di poco valore decisero di regalarmi un futuro più promettente, perché quando ho scavalcato il mare da costa a costa ho scoperto che il futuro che mi sarei guadagnato non è di gran lunga migliore di quello che avrei potuto costruire nella mia terra natale ricoperto dall’affetto della mia famiglia. Ricorsero ad ogni mezzo possibile per riuscire a farmi imbarcare su una di quelle barche a motore che salpano dai porti clandestini sulle coste del Marocco; quelle imbarcazioni sembravano precarie, sovraffollate e completamente prive di una qualsiasi forma di igiene. Una traversata pericolosa con un possibile risvolto fatale alla ricerca di una terra promessa; mi sentivo Mosè con lo stesso cuore pieno di speranza appena salpato, e con la stessa delusione appena arrivato a destinazione.

Il viaggio fu tremendo, la situazione più terrificante e dolorosa della mia vita. Viaggiavo con il cuore pieno di malinconia della mia famiglia, che non avrei probabilmente più rivisto, con lo stomaco in subbuglio dalla fame e dai pasti disgustosi che erano l’unica scelta di sostentamento. Ci furono molti casi di enteriti sulla nostra barca a motore, alcune delle quali così forti da causare una morte fulminante di quelle povere persone. Per questioni logistiche legate allo spazio sull’imbarcazione i corpi esanimi di quelle povere anime venivano scagliati fuori bordo e seppelliti in mare. Non sono mai stato un fedele della religione che professavano i miei genitori, ma mi ritrovai in quei giorni di forte paura a pregare Allah per la mia incolumità e per la salvezza di quelle anime che avevano perso la vita alla ricerca di una vita migliore di cui non hanno potuto godere.

Arrivammo in prossimità della costa italiana. Nessuna autorità aveva fermato la nostra piccola imbarcazione e tutti i sopravvissuti al viaggio, uno alla volta, si tuffavano nelle acque gelide di questo mare. Ci furono altre vittime di questo viaggio, proprio quando si era finalmente concluso; lo shock causato da un’acqua tanto gelida causò forti crampi in alcuni dei natanti portandoli ad affogare, mentre altri furono vittima della loro debolezza fisica e del mal nutrimento; la sorte peggiore, hai miei occhi, capitò a quelle povere anime che non sapevano nuotare, non conoscevano nemmeno i principi per rimanere a galla e li vedevo sforzarsi e dimenarsi senza alcuna speranza, gli occhi che divenivano sempre meno vitrei fino a spegnersi precipitando verso il fondo del mare. Ancora oggi le scene alle quali assistetti albergano la mia mente e sono teatro dei miei incubi peggiori, anche ora riesco a passare poche notti senza avere questi ricordi incombenti che agitano il mio sonno e mi svegliano in preda all’ansimare e fradicio di sudore.

Il viaggio, per me, si concluse con l’arrivo sulle coste della Sicilia. Arrivarci a nuoto è stata un’impresa erculea e appena spiaggiato rigurgitai tutta l’acqua salmastra che avevo ingerito per la fatica e tossii quella che invece mi aveva riempito i polmoni. Ero stremato e senza dimora, in un luogo sconosciuto e disabitato. Appena mi ritornò un po’ di forza in corpo, iniziai a camminare alla ricerca di un villaggio nelle vicinanze. Camminai e camminai fino a raggiungere una piccola cittadina, un sobborgo abitato da persone di varie etnie. Sentivo alcune persone che parlavano una lingua per me ancora straniera, l’italiano, che sarebbe diventata poi la mia prima lingua per cercare di sopravvivere in questo Paese; ma sentivo anche una smisurata quantità di altre lingue, tra le quali mi parve di sentire anche l’arabo.

Mi avvicinai ad un gruppo di sudanesi, da quanto mi dissero loro, che avevano affrontato il mio stesso viaggio l’anno precedente. Furono tanto cortesi con me da darmi un alloggio, stretto e sporco, ma pur sempre un angolo di tetto dove dormire pacificamente. Dormii per molte ore, anche se la mia mente ancora affollava del trauma dei giorni precedenti. Al mio risveglio i miei salvatori mi istruirono sulle regole di comportamento per riuscire a sopravvivere senza ripercussioni. Imparai con molta fatica l’italiano, i costumi sociali e il razzismo dilagante di questa sponda del Mediterraneo, l’importanza delle comunità che erano state create dagli altri migranti per l’emarginazione che molti di noi prima di me hanno subito. Feci tesoro di ogni parola che condivisero con me, della cortesia che mi dimostrarono e della quale mi sarebbe piaciuto ripagarli. Migliorai la mia lingua fino a capire le affermazioni che mi venivano dirette e a costruire delle risposte adatte alla situazione; fu un duro lavoro, soprattutto perché i miei insegnanti avevano una padronanza della lingua leggermente superiore alla mia.

Lasciai la Sicilia all’età di 17 anni. Ne avevo 15 quando salpai dalle coste del Marocco, vedendo per l’ultima volta i volti dei miei genitori, avvolti dalla tristezza per la partenza del loro unico figlio e segnati dalle lacrime di gioia che sgorgavano dai loro occhi perché speravano con tutto il cuore che la mia vita sarebbe stata migliore della loro. Oggi vivo in uno tra i quartieri più poveri alla periferia di Milano, Quarto Oggiaro. Vivo di lavori saltuari e paghe misere, non ho ancora potuto mettere le carte in regola e quindi mi ritrovo a lottare con le difficoltà di un immigrato clandestino. Ho trovato una piccola comunità di persone nella mia stessa situazione o in una analoga e, quanto meno, ci sosteniamo a vicenda nella lotta per la sopravvivenza.

Il quartiere dove risiedo può sembrare spaventoso e sudicio dall’esterno, ma dalle mie passate esperienze potrei addirittura affermare di aver fatto un salto qualitativo nella mia vita. Vivere solo e in povertà era la più grande paura della mia vita, ma cui sono riuscito a crearmi una rete di amicizie e conoscenze che mi permette di dimenticarmi della condizione di miseria nella quale siamo confinati. Sono alla continua ricerca di un lavoro onesto e, con ogni speranza, ben retribuito, e mi tengo il più possibile lontano da qualsiasi forma di criminalità, come mi avevano consigliato di fare i miei compagni in Sicilia. Qualche volta sono caduto nella tentazione di fare soldi facili, ma ogni volta immaginavo la pena che dovevano passare i miei genitori ed evitavo con forza di rischiare il presente che ero riuscito, grazie a loro e a tutti quelli che mi hanno aiutato, a crearmi. Sarà povero, precario e privo di igiene, ma è il mio presente e l’inizio di una vita che voglio vivere.


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Pixabay

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