Vento di libertà

in Olio di Balena3 years ago

Affido questa lettera alla tua sapienza perché sei stato l’unico in grado di rinvenirla. È probabile che tu l’abbia dovuta strappare dalla rigida stretta delle mie gelide mani, perché quando mi ritroverai sarò oramai passato oltre.

Dono a te la scelta di condividerla con i tuoi affetti più cari, o tenerla per te, o invece occultare la sua esistenza a chiunque e bruciarla tra le fiamme dell’ignoto, impendendo a chiunque di conoscere la mia storia. Io ripongo fiducia in te, ma non posso obbligarti a farti carico della responsabilità di divulgare le vicende che ho vissuto e le sventure che ho patito per ritrovarmi a passare la vita in quest’angolo di terra dimenticato da Dio.

Il mio nome di battesimo è Bruce; ho deciso di rinunciare al mio cognome dopo l’infanzia travagliata che mi ha lasciato cicatrici sul corpo e nello spirito. Sono cresciuto in una casa di cattolici irlandesi, un tempio di autoritarietà e rigidi insegnamenti dove le punizioni corporali erano il metodo d’istruzione preferito.

Sin da piccolo mio padre ha cercato di sedare la mia anima pestifera e la mia vivacità esplosiva con la fibbia di ferro arrugginita della sua unica cinghia, fatta di un tessuto economico che si logorava sempre più ogni volta che la usava su di me. Quello strumento di tortura che mio padre era avvezzo ad utilizzare come fosse una frusta mi lasciava dei solchi nella carne e delle forti irritazioni cutanee dovute al materiale scadente che la componeva.

Gli abusi corporali proseguirono fino alla maggiore età. Mio padre, più fedele alla bottiglia che a nostro Signore, fu costretto ad abbandonare l’uso della sua cintura, che si era spezza sotto la mole di colpi che mi sferrava, e incominciò ad utilizzare le mani. Il dolore fisico diminuiva di giorno in giorno insieme alla forza di quel vecchio. Il dolore psicologico non si estinse mai.

Trascorsi la mia adolescenza terrorizzato da mio padre, paura che si trasformava in odio che riversavo su mia madre. Lei rimaneva a guardare in silenzio mio padre che mi maltrattava fino ad avere le mani ricoperte del mio sangue, il color cremisi sulle sue nocche incrementava la sua carica e mi picchiava fino a quando non svenivo. E mia madre rimaneva lì tutto il tempo, tutto il tempo immobile. All’inizio credevo fosse un ostaggio, come me, di quell’essere sadico e alcolizzato; pensavo vivesse il mio stesso incubo, ma un giorno notai nel suo sguardo eccitazione e sulle sue labbra un tremolio accennato, come se fosse appagata da quanto vedeva. Quel giorno compresi che mio padre era solo un altro strumento di tortura e il mio carnefice era, in realtà, mia madre.

Scappai la notte stessa e non misi mai più piede in quella casa. Scoprii qualche tempo dopo che i miei genitori morirono nell’incendio della mia casa natia, puniti dalla provvidenza divina.

Ero allo sbando senza alcuna certezza sul mio futuro, non avevo mezzi per sopravvivere né esperienze di vita. Mi rifugiai in una baracca in riva al mare, un trabucco che avevano dimenticato con la serratura aperta; mi sforzai di dormire in quella dimora di fortuna, tormentato dal freddo umido di quella notte.

Mi svegliai la mattina seguente, più riposato di quanto fossi mai stato in vita mia. Fu lo scricchiolio della passerella di legno a destarmi e quando aprii gli occhi mi ritrovai ad incrociare lo sguardo con un paio di pescatori che erano pronti ad iniziare la loro giornata di lavoro. Feci pietà a quei due uomini che decisero di regalarmi una canna da pesca e mi insegnarono la loro arte. Uno di loro fu tanto cortese da offrirmi un luogo dove dormire, ma le mie pregresse esperienze mi portarono a rifiutare l’offerta; domandai con tutta l’umiltà di cui disponevo se potessero prestarmi una coperta pesante, evitando di far intuire loro la mia intenzione di dormire nuovamente in quella baracca dal legno rigonfiato dall'umidità.

Imparai a pescare, mi impadronii di quell’arte molto velocemente e decisi di trasformare quel mezzo di sopravvivenza nel mio mestiere. Investii tempo e denaro in questo lavoro, riuscendo a guadagnare abbastanza moneta da potermi permettere una piccola imbarcazione, una bagnarola che faticava a stare a galla.

La stessa dedizione che misi nella pesca la utilizzai per rinnovare quel minuscolo veliero. Rattoppai ogni foro nel legno, sostituii ogni pannello marcito dall’umidità, scrostai da cima a fondo lo scafo e sostituii le vele logorate con delle nuove di tessuto più resistente. Mi ci volle qualche anno per creare il mio angolo di paradiso, ma le mie fatiche furono ripagate da un senso di libertà che non avevo mai provato prima d’allora. Mi sentivo d’essere un gabbiano che spiegava per la prima volta le ali, in volo sul mare con la brezza che mi accarezza il volto. Credo di aver lasciato cadere qualche lacrima sulle mie guance tanto ero ricolmo di gioia in quel momento.

Attraversai il mare in lungo e in largo. Vidi panorami e scoprii luoghi che la mia immaginazione, compromessa dalle vicissitudini del mio passato, non sarebbe mai riuscita ad elaborare. Mi innamorai di una piccola isola al largo della mia città natia, una minuscola distesa di sabbia ed erba circondata da un mare cristallino e da una barriera di scogli che mantenevano l’acqua vicino alla riva calma e limpida, tale da potercisi specchiare.

Sbarcai la prima volta un paio di anni fa e da quel giorno non me ne volli più andare. Feci di tutto per limitare l’esigenza di dover tornare alla baia a fare rifornimento di viveri e, con tale proposito, decisi di costruire una fortezza su quella che ribattezzai la mia isola. Ad ogni viaggio che facevo ritornavo con materiali da costruzione per portare avanti l’unico progetto che mi avrebbe dato la soddisfazione che non avevo mai potuto avere nella mia breve vita, la possibilità di avere un posto che potevo chiamare casa.

Creai le fondamenta con delle assi di quercia inchiodate alla terra con dei paletti fatti dello stesso materiale, posizionai dei pannelli di betulla sopra le fondamenta per il pavimento. Imperniai delle assi tra di loro e le posizionali ai quattro lati della casa in costruzione per fungere da pareti. Fabbricai per ultimo il tetto con degli assi di betulla. Rifinii gli ultimi particolari, come gli infissi per le porte e le finestre e intagliai un’apertura sul tetto per poter ricavare anche un magnifico lucernario. Ultimati i preparativi eressi le pareti sormontate dal tetto sfruttando un sistema a carrucola. Fu difficile e molto laborioso, ma finalmente riposai in casa mia, un luogo che avevo idealizzato per così tanto tempo e che ora è tangibile. Per la prima volta, da tutta una vita, dormii sereno. Il sonno fu così profondo da portarmi nel mondo dei sogni; non avevo mai sognato prima di allora, fu un’esperienza magica e mi svegliai l’indomani con qualche lacrima di commozione.

I mesi passarono e le mie visite alla terra ferma scemarono; oramai ero capace di procacciarmi il cibo su quest’isola, di vivere indipendente a casa mia. Non ci volle molto prima che la mia barca cadesse a pezzi e colasse a picco; recuperai il relitto solo allo scopo di fabbricare degli oggetti che mi potevano tornare utili per la pesca o per l’agricoltura.

Oggi ho trent’anni, penso di averli compiuti qualche giorno fa. Vivo la meravigliosa continuazione della mia vita nella assoluta libertà, che nessuno ritengo avrà mai. Ho trascorso i peggiori anni della mia esistenza in mezzo alla gente, ma ho capito ben presto che nessuno mi avrebbe mai più tarpato le ali, che il mio volo è sacro e che mi ha fatto scoprire lo scopo della mia nascita. Prima d’ora io credevo di essere venuto al mondo per andarmene precocemente, di essere stato un errore che il Signore cercava di cancellare dalla sua tela, invece Egli ha dipinto le ali sul mio dorso che mi hanno permesso di librarmi in un futuro che posso decidere solo io.

image.png Pixabay

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Fascinating story. A painful first part and then the course of the story changed, to become a reflection of self-improvement and search for peace and freedom. congratulations !

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