L'attesa

in Discovery-it3 years ago

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°137 S2-P8-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @sbarandelli
Tema: Sala d’attesa della stazione
Ambientazione: Attesa ansiosa

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L’attesa

Un mazzo di tulipani in una mano e un pacchetto regalo nell’altra.
Si affacciava sui binari, per scorgere l’arrivo del treno in lontananza, poi tirava indietro la testa, ritraendosi di nuovo sulla banchina, e senza mai voltare le spalle ai binari indietreggiava fino alla panca su cui sedeva, appoggiando i fiori a sinistra, il pacchetto regalo a destra e aspettando, aspettando ancora.
I secondi scorrevano sull’orologio appeso alla fermata
Tic.
Tac.
Tic.
Tac.
Tic.
Tac.
Ma i minuti sembravano fermi, immobili, stagnanti, e l’orologio sembrava sciogliersi come quelli dipinti da Dalì.

Il cuore, intanto, man mano che si avvicinava il momento del suo arrivo, aveva iniziato ad aumentare il suo ritmo, accelerando al punto che sembrava ingigantirsi nel suo petto, espandersi al di fuori del posto che aveva sempre avuto e occupare tanto spazio da diventare scomodo. I polmoni, suoi vicini, venivano compressi e schiacciati da quelle ingombranti pulsazioni e potevano gonfiarsi di aria solo a metà, mozzandogli il respiro che si faceva affannoso, sempre più corto, sempre più corto. Persino le costole e la gola sembravano deformarsi ad ogni battito e contrarsi in spasmi sempre più simili al dolore man mano che i palpiti, accelerando, si facevano molesti.
Una sensazione di ebbrezza lieve, di testa piena e leggera, rigonfia, ovattata, iniziava a serpeggiare man mano che i pensieri gli si affastellavano veloci, vorticandogli davanti agli occhi fin quasi a materializzarsi e diventare tangibili. L’ebbrezza diventava inquietudine, l’inquietudine ansia. E quando l’ansia si faceva insopportabile, lui afferrava fiori e pacchetto regalo e si alzava di scatto, raggiungeva a passi svelti il ciglio della banchina e sporgeva testa e busto sui binari per guardare in lontananza e scorgere un indizio che segnalasse l’arrivo del treno tanto atteso.

Non si vedeva niente all’orizzonte: lentamente si ritraeva e poi si risedeva, e il suo corpo sembrava avere appena un momento di sollievo, ma ben presto ogni sensazione già provata tornava a bussare alla sua porta, e il cuore che per un istante si era ridimensionato ricominciava tosto a ingigantirsi, battendo forte contro il petto e tornando a ingigantire le sue ansie.

I minuti scorrevano lenti, lenti e inesorabili si facevano ore. I fiori lentamente sfiorivano, piegavano il capino stanchi di quella lunga attesa; i petali di seta diventavano rugosi, rattrappiti, mentre i colori vivaci divenivano spenti, smorti e ingrigivano. Il pacchettino incartato con cura in carta rossa e con un bel nastro dorato iniziava a bucarsi agli angoli, la carta a stropicciarsi, macchiarsi, il fiocco a disfarsi.

Lui si sentiva vecchio.

Vecchio e stanco e coi capelli grigi e il viso grinzoso come i petali di quei fiori e i vestiti laceri e sporchi come la carta di quel regalo. La polvere attorno a lui aveva formato strati infiniti come i giorni trascorsi in quell’attesa, ricoprendo ogni cosa attorno a lui come neve greve, pesante, e depositandosi sulle lancette fino a rendere ancor più lento il loro scorrere faticoso.
A un certo punto, quando l’ansia raggiungeva il culmine e sentiva di stare per morire, ecco giungere il fischio tanto atteso: con un balzo lui si alzava e accorreva verso la banchina.
Il treno vola e trotta sui binari e mentre lui si sbracciava per far cenno al mezzo di fermarsi alla stazione, ecco che la locomotiva arriva ma veloce se ne va, senza fermarsi, senza rallentare, investendo ogni cosa con lo spostamento d’aria e trascinando via con sé la polvere, il tempo e le speranze.

In un istante non restava più traccia del passaggio di quel treno né del tempo appena trascorso ad aspettarlo, e nel cuore di quell’uomo la sua angoscia si assopiva per un po’: non era il suo, quel treno, e non aveva perso niente.

Più sereno e arzillo, forte di una ritrovata gioventù, coi vestiti nuovi e lindi, i capelli neri e folti; con un mazzo di meravigliosi tulipani appena colti in una mano e un bel pacchetto regalo appena fatto, dalla carta lucida e fiammante col suo fiocco d’oro nell’altra, eccolo che tornava a sedersi sul sedile su cui attendeva il suo treno. Non c’era più traccia di polvere o di usura attorno a lui, e tutto sembrava predisporsi ad un’attesa piacevole e tranquilla, e di sicuro un po’ più breve questa volta.
Presto però un strana sensazione tornava a bussare alla sua porta: e il cuore gli pulsava; e il respiro gli mancava; e il treno non arrivava anche se lui si affacciava.

Dentro un incubo senza fine, una spirale di inquietudine e un bagno di sudore il faro luminoso di un treno in piena corsa lo travolse e lo investì, e prima ancora di capire che quello era il sole del mattino, si svegliò.

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