L’uccisore di draghi

in Discovery-it3 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n°129 S4-P6-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @clifth

Tema: Draghi e cavalieri
Ambientazione: Medioevo

146- Drago.jpg
CC0 Creative Commons

L’uccisore di draghi

<<Avvicinatevi, avvicinatevi tutti, Madame e Messeri!
Voglio raccontarvi la storia del Nobile Cavaliere Giorgio da XXX, che sotto il nostro amato Re Federico il Barbarossa si fece onore nelle terre degli infedeli e divenne l’eroe di questo e di quel mondo!>>

Un menestrello attirava a sé proclamando a gran voce le sue storie nella piazza del piccolo centro dove per alcuni giorni si sarebbe fermato. Con maestria pizzicava le tre corde della sua ribeca, accompagnando con musica suadente la voce che narrava le gesta di Messer Giorgio da ***, le sue battaglie contro il feroce Saladino, la gratitudine dei più nobili reali durante l’ultima crociata, la rettitudine nel difendere i buoni cristiani contro gli infedeli grazie alla sua spada consacrata da Dio che splendeva nella luce della fede e si batteva in nome del Signore.

Il bardo indugiava a lungo sulla bellezza indomita del cavaliere, strappando i sospiri di dame e contadine; poi descriveva con dovizia di dettagli ogni duello, usando a volte il suo strumento musicale come spada, per simulare un affondo nel più cruciale momento di tensione degli uomini presenti. Narrava infine della sua nobile bontà d’animo che sempre lo vedevano schierato per i deboli, conquistando così i cuori dei bambini e dei più scettici.

<<Queste storie son vere, miei cari amici: le ho udite io stesso dallo scudiero di un nobile cavaliere che ha combattuto con Messer Giorgio in Terra Santa. Rientrato in patria, Messer Giorgio è stato convocato alla corte di Sua Santità il Nostro Papa, che Dio lo protegga sempre, ma ha umilmente rifiutato gli onori di cui volevano insignirlo e i feudi di cui gli si voleva far dono. “Santità” disse il cavaliere al cospetto del Papa, “questo non è che un umile strumento di Dio, che reca il nome di un Santo a cui vuol rendere onore. Mi impegno dunque davanti a Sua Santità, a Dio e alla Chiesa tutta a seguire le orme di Colui che è stato il mio protettore e liberare i Vostri territori dai Draghi che lo infestano!”.
Con questo solenne giuramento, da quel momento il nobile Giorgio percorre giorno e notte le terre senza sosta, per dar sollievo ai buoni cristiani e proteggerli dalle bestie di Satana che si annidano nelle montagne o nelle acque stagnanti, a volte persino all’insaputa di tutti noi, sottraendo bestiame e talora anche qualche abitante per saziare i loro immondi appetiti. Scommetto che anche qui da voi, miei buoni paesani, si sono verificati strani ed inspiegabili eventi, sparizioni che solo un demonio potrebbe aver compiuto.>>

Il menestrello fece allora una pausa a effetto, creando la suspence necessaria a terminare il suo racconto. La sera giungeva appena e qualche fiaccola illuminava i volti degli abitanti del villaggio, radunati attorno al bardo ad ascoltare le sue storie.
Quell’ultima affermazione fatta nella suggestione del crepuscolo aveva messo in moto la fantasia della povera gente e quasi si percepivano i loro peggiori incubi materializzarsi e aleggiare sulle loro teste. Il cantastorie sapeva che quell’attimo, appena prima che i volti si contraessero in smorfie di terrore, era quello perfetto per moltiplicare i suoi guadagni e rimediare un pasto caldo e un buon pagliericcio con un finale pieno di speranza e buoni sentimenti. Riprendeva quindi a narrare: <<Ma non temete, brava gente: Messer Giorgio continua a tener fede al suo santo protettore e alla sua santa promessa e vaga in lungo e in largo per le terre del mondo alla ricerca di segni del male. Se questi dovessero palesarsi sotto forma di feroci draghi, tosto verrà anche lui a sconfiggerli per liberarvi dalla piaga che infesta la vostra regione! Pregate! Abbiate fede! Buonanotte, miei cari amici!>>

Di solito, al termine delle sue storie avvincenti, un qualche servo del signorotto del luogo avvicinava sempre il bardo, invitandolo nella casa del padrone, dove in cambio di storie in esclusiva per la sua famiglia otteneva ospitalità, riposo e ristoro per i giorni di permanenza nel villaggio.

Qualche tempo dopo il passaggio del cantastorie, i semplici paesani notarono la mancanza di bestiame, ora di una pecora, ora di una gallina, ma non l’attribuirono più ai lupi, alle volpi o a un vicino invidioso: superstiziosi, suggestionati e ormai terrorizzati che un drago potesse nascondersi fra le loro montagne, iniziarono a pregare per l’arrivo del Nobile Giorgio. Colonne di fumo in lontananza e la sparizione di una della loro ragazze, che una sera si era attardata da sola a cogliere mele in un frutteto ai confini dei campi del paese, non fecero altro che confermare quei sospetti e creare sgomento fra le genti, facendole riversare in massa nelle chiese per accendere ceri e innalzare cori a Dio e San Giorgio perché li liberassero da quella piaga benedicendoli col passaggio del nobile Giorgio.

Pochi giorni dopo, dunque, sul far della sera, un cavaliere comparve all’orizzonte, eretto sul maestoso destriero e scintillante nella stupenda e lucente armatura.
“E’ Messer Giorgio! Dio ha udito le nostre preghiere!” gridavano tutti quanti andandogli incontro. Il nobile Giorgio venne accolto come un salvatore e portato dal signorotto del villaggio, che lo ospitò fra mille onori, gli offrì quanto di meglio potesse offrirgli e pregandolo in ginocchio, prostrato a terra dopo avergli raccontato delle sparizioni e dei loro timori, gli chiese di liberarli da quella bestia di Satana. Aiutandolo a rialzarsi, il nobile Cavaliere con la destra sul cuore giurava che avrebbe tenuto fede alla sua missione e li avrebbe liberati dal flagello. Si rifocillò quindi per alcuni giorni, durante i quali gli venne offerto quanto di più prezioso il villaggio avesse: le carni più tenere, le conserve migliori, i vini più pregiati e le stoffe più preziose, con cui confezionargli una veste da indossare sotto l’armatura. Le fanciulle più audaci si intrufolavano di notte nelle sue stanze, ma né le madri ne soffrivano né il nobile Cavaliere se ne approfittava più di quanto esse stesse non volessero, lasciando in ciascuna il ricordo più sacro di sé e della propria nobiltà.
Partito per sconfiggere la bestia, si inoltrò fra le montagne alla ricerca del drago nella direzione dalla quale gli abitanti avevano visto sollevarsi colonne di fumo.
I paesani restarono giorno e notte a osservare in quella direzione, finché non scorsero le tracce di un grande fuoco in lontananza, o almeno tale sembrava, poiché durò per molti giorni e si estinse poco prima del ritorno del nobile Giorgio.
Stanco e barcollante, con l’armatura annerita e la bocca riarsa, il nobile Giorgio era tornato a piedi, appoggiandosi a un bastone ma senza un graffio: il feroce drago aveva ucciso il suo cavallo e mangiato la fanciulla rapita, che non avrebbe mai più fatto ritorno; però l’empia bestia del male era morta, trafitta dalla santa spada di Giorgio e poi bruciata fra le sue stesse fiamme immonde.
Come un vero eroe, il nobile cavaliere veniva portato in trionfo, lavato, rifocillato, l’armatura lustrata e un nuovo, nobile stallone gli veniva donato in segno di riconoscimento, fin quando, di nuovo trionfante, Giorgio saliva sul nuovo destriero e si allontanava dal villaggio nella sua armatura scintillante alla ricerca di un nuovo drago.

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<<Allora, com’è andata? Stavolta il fuoco quasi ci ammazzava, dobbiamo essere più prudenti e domarlo in tempo!>>
<<Ha fatto il suo effetto, eccome se lo ha fatto! Però questi qui erano dei veri pidocchiosi: mi hanno dato solo il necessario in cibo e vino e vesti, ma niente ricompense in oro o ricchezze. Avremo cibo da re per tre o quattro settimane ancora, compreso l’altro cavallo che deve essere ancora tenero e delizioso, poi passeremo al prossimo villaggio. Le donne però…quelle sì che ne valeva la pena: tenere fanciulle col fuoco nei lombi e il miele in mezzo ai seni e madri tanto grate da offrirle quasi a due a due. Questo villaggio me lo ricorderò per le sue notti! Tornaci anche tu fra un mese o due e vedrai che accoglienza ti faranno, caro il mio bardo!>>.
<<Abelardo, sei un vero infame! Ma che ne facciamo della ragazza, adesso? E’ mezza morta di paura, poveretta!>>
<<La solita manfrina, Riccardo? Ti sta diventando il cuore troppo tenero a forza di narrare le mie gesta?! Come sempre la teniamo con noi ancora per un po’, e quando si sarà ammansita a sufficienza e l’avremo "istruita" per bene su come va il mondo la porteremo in città e la venderemo a una casa di piacere, come facciamo sempre.>>

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Era trascorso un po’ di tempo quando Riccardo il cantastorie fasullo aveva fatto ritorno al villaggio “salvato” da suo fratello Abelardo, in arte "il nobile Cavalier Giorgio". La gente lo aveva accolto festante e gli aveva raccontato che quel Santo cavaliere era più santo del santo da cui prendeva il nome e li aveva salvati da un grave pericolo, apparendo al momento giusto e riportando la pace e la sicurezza. Il bardo promise loro di inserire il nome del villaggio e quella storia nel suo repertorio, immortalandoli per sempre nell’olimpo dei poeti.

Per essere stato il primo ad aver parlato loro di Messer Giorgio, gli erano talmente grati che lo ricoprirono di attenzioni e doni, anche se nessuna fanciulla andò a fargli visita di notte, come sempre, ahimè, gli accadeva: in fondo lui di quella pagliacciata non era che l’aedo.
Ebbe modo di osservare, passeggiando nel villaggio durante la sua permanenza, qualche bel pancione fra le ragazze più giovani e belle, che venivano ammirate e invidiate come se recassero in grembo il figlio di un nuovo santo e non di un cialtrone.

Quei sempliciotti non potevano certo immaginare che lui e suo fratello Abelardo, nati poverissimi, avevano rubato l’armatura ad un soldato morto nel sonno vicino a un fiume, quindi per sopravvivere avevano messo su tutto quello spettacolino, perfezionato col tempo, in cui prima il cantastorie instillava l’idea coi suoi racconti, poi qualche animale e una fanciulla venivano rapiti ed infine il "nobile cavaliere" giungeva come salvatore a liberare il popolo dal "drago". Avevano imparato a produrre fuochi controllati nei punti più opportuni, sfruttando il vento ed il terreno, così da far credere che "Giorgio" lottasse con un drago.

Infine ritornavano a riscuotere gli onori: i villaggi più ricchi donavano loro oro e animali, cibo e liquori, coi quali tiravano avanti per un po’ o scendevano in città a sperperarli nelle bettole e nelle case di piacere. Dovevano solo stare attenti a non strafare e spostarsi spesso: le voci si diffondono svelte e le malelingue avrebbero potuto sospettare un qualche trucco. Ma finché non sarebbero stati avidi, quell'inganno avrebbe funzionato ancora per un po’.

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