Rimbaud a Port Said

in #ita8 years ago (edited)

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L'immagine è tratta da wikimedia commons

Sir Chatworld e Lady Moorgenstein camminavano, a passo lento, nelle viuzze brulicanti umanità di Porto Said. Osservavano le bancarelle dove i locali vendevano le loro merci: tappeti orientali, spezie, pesce, ortaggi, ma anche vestiti e sandali. L'uomo rapito da quel caos armonico aveva quasi dimenticato quello che chiamava il libro maledetto che – secondo lui - avrebbe precipitato l'umanità nell'abisso della perversione.
Il loro olfatto era inebriato da quella mistura di odori di spezie, pesce freschissimo e cuoio che pervadeva la stradina stretta che portava fino al porto e quasi persero la nozione del tempo: il sole era quasi allo Zenit e i due camminavano senza soste dalla mattina.

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Alla fine della via trovarono una piccola piazza illuminata da un sole abbagliante che rifletteva i suoi raggi sui palazzi a due piani dipinti di bianco. Sulla destra vi era una piccola locanda dall'aria dimessa con una vecchia insegna raccattata chissà dove: Restaurant Francaise.

"Siamo in tema Rebecca, francesi, francesi dappertutto!" disse Chatworld fermandosi e indicando con il dito – quasi con stizza - la piccola locanda.
Lady Moorgenstein, accenno un sorriso: "Suvvia John, da quando hai iniziato a leggere quel libro non riesci a pensare ad altro. Sembra quasi che odi tutta la Francia! Sai che ti dico? Andiamo a mangiare lì. Ho un certo appetito.". La donna non attese neanche una risposta e si diresse verso il ristorante. Sir Chatworld la osservò – fermo, in silenzio – mentre si avviò e poi la segui rimanendole dietro di tre passi dietro.

"Arthur, piccolo pervertito, abbiamo clienti. Ricomponiti, ricomponiti e vai a chiedere cosa vogliono" disse a bassa voce il proprietario del ristorante.
Arthur - cameriere e sguattero di cucina alla bisogna - si spolverò la giacca con le sue mani dalle dita sottili e delicate come immaginiamo siano quelle di un pianista. Aveva uno sguardo fiero dall'età indefinibile, senza quasi un filo di barba. I suoi occhi, di un azzurro metallico, indagavano con estrema attenzione ciò che lo circondava ma erano soggetti a farsi indagare: lasciavano uscire troppa anima.
"Vado subito" rispose con voce bassissima.

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"Signori, come posso esservi utile?" chiese il cameriere a quella distinta coppia dall'accento marcatamente inglese e dall'aria elegante.
"Ci porti qualcosa da mangiare. Non importa cosa, basta che sia francese. Per la gioia di mio marito" rispose la donna accennando un sorriso divertito mentre guardava il marito.
"Va bene, ora vi porto il Menù. Così potrete scegliere. Da bere vi porto del vino? Lo portiamo direttamente da Bordeaux. E' eccellente, si fidi"
"Certo, si. Va bene il vino di Bordeaux. Porti anche dell'acqua. La prego"
"Certamente Signori. Provvedo subito."
Sir Chatworld appoggiò per terra la sua piccola borsa in cuoio non prima di aver estratto un piccolo libro che aveva una elegante copertina verde con il tiolo stampato con dei caratteri in oro: Le fleures du mal.

"John non riesci a staccarti neanche un attimo. La tua è un ossessione."
"No, non è un ossessione è un libro pericoloso. Bisogna evitare la diffusione in tutto l'Impero. Dobbiamo evitare che l'Inghilterra diventi un verminaio"
"A me pare che tu esageri. Chi vuoi che lo legga?"
"Le idee malsane, peggio le poesie malsane, si diffondono come la peste nera. La poesia deve magnificare le virtù eroiche dell'uomo. Non deve rimestare nel torbido. Nella melma dei cattivi sentimenti. Non si può glorificare il peggio dei sentimenti umani"
"A me non pare glorifichi....anzi, dalla prefazione direi il contrario..."
"E' subdolo. Questo Baudelaire è subdolo come il demonio. Ha scritto la prefazione per giustificarsi di fronte al lettore e alla censura. Ma le poesie giustificano. Giustificano i sentimenti più miserabili dell'uomo!" disse Chatworld battendo nervosamente il palmo della mano sul libro. Fu a quel punto che l'uomo si accorse che di fronte a lui il cameriere, con una bottiglia di vino nella mano sinistra e una caraffa d'acqua in quella destra, ascoltava. "Cosa aspetti ragazzo? Posa sul tavolo...".
Arthur posò delicatamente la bottiglia e la caraffa sul tavolo e un attimo dopo sfiorò delicatamente – quasi una carezza – la copertina del libro.
"Non mi dica che abbiamo un cameriere che s'intende di letteratura in questo inferno di Porto Said?" disse Chatworld a cui non era sfuggito il delicato gesto del cameriere.
"No, signore. Io non m'intendo di letteratura. Ma io penso...."
"Lei pensa?>> disse l'uomo: <<Continui, continui, ci dica cosa pensa..."
"Ecco signore. Ecco....io penso che un poeta sia un veggente. Ecco, un veggente. Deve avvertire l'umanità. Deve cercare e dire la verità, anche se non creduto..."
"Hai sentito cara? Un veggente..." disse l'uomo trattenendo una risata: "Continua, continua ragazzo....mi diverto"
"Non voglio importunarvi...Io non conosco i versi del poeta di cui state parlando. Io sono solo un povero cameriere ma io penso. Ecco, io penso che una poesia che esalti quelle che lei chiama virtù dell'uomo sia una poesia bugiarda. Falsa come è falsa la commedia umana. La poesia deve svegliare l'uomo dal suo torpore. Deve dire ciò che in realtà è. Non deve consolare, non deve illudere...ecco"
"Forse questo cameriere vorrebbe forse insegnarmi cos'è la poesia. A me? Io che insegno letteratura a Cambridge da oltre trenta anni. Piccolo sfacciato impudente!" disse Chatworld rivolto prima alla donna e poi rivolgendo lo sguardo al cameriere.
"No, no. Mi scusi Eccellenza io non insegno niente a nessuno. Lei sappia però che il piedistallo dove si è messo è più pericoloso del patibolo: se cade può farsi molto male" disse il ragazzo fissando l'uomo con i suoi occhi metallici: "Io piscio altissimo verso i cieli oscuri..." aggiunse poi a bassa voce.
"Stupido sguattero! Come osi? Dimmi il tuo nome"
"Il mio nome è Arthur Rimbaud e non sono nessuno signore. Mi scusi, non volevo offenderla."

Il cameriere voltò le spalle e si diresse verso la cucina.