Art - Post Human

in #ita6 years ago

Anche l’individuazione della poetica del Post-human, catalogata dal suo ideatore come “nuova figurazione”, lasciava indurre a delle perplessità. In quanto all’interno della rosa degli artisti prescelti c’erano ad esempio quasi tutti gli autori che qualche anno prima fecero parte di un movimento definito all’opposto Neo-geo dallo stesso Jeffrey Deitch.

Prima di essere un critico d’arte svolgeva il broker. Decide poi di creare una rivista dove prende le icone della chirurgia plastica del momento, o altri concetti lussuriosi che lo porteranno al successo

Verso la metà degli anni ‘80, in piena affermazione del Graffitismo e della Transavanguardia e di tutta l’effervescenza movimentista dell’East Village, nel 1984 un piccolo gruppo di artisti tra i quali Jeff Koons, Peter Halley, Ashley Bickerton e Meyer Vaisman dirigono una galleria, autogestendola, così come era consuetudine nell’East Village. La galleria prese il nome di International with Monument e fu però affiancata dall’opera critica di Deitch e dall’autorevole intervento della Sonnabend Gallery di New York e dalla Saatchi Gallery di Londra.

All’apice dell’apprezzamento e della riscoperta del primitivismo, dei valori iconici e coloristici istintivi, il Neo-geo portò al contrario una ventata gelida e di ordinata distribuzione di oggetti quotidiani (aspirapolveri ad esempio per Jeff Koons), all’interno di altrettante gelide teche di vetro. Oppure quadri geometrici con strutture geometriche ossessivamente ripetute, attraverso stesure meccaniche di colori acrilici e industriali, come nei quadri di Peter Halley. La ripetizione del modello, secondo la teoria del simulacro del filosofo Baudrillard, garantiva il successo della comunicazione, e generava consenso. Ma questo era stato già ampiamente provato nella pratica da Andy Warhol, ancor prima dell’avvento della notorietà del filosofo francese. Tuttavia gli artisti Neo-geo applicarono la teoria, del resto già comprovata, alla loro arte e il successo fu raggiunto. Ma nell’’87 chiusero la galleria, ormai inutile, visto che avevano gallerie ben più rappresentative che si occupavano del loro lavoro, e anche il collante tra loro venne meno e ognuno continuò a occuparsi del proprio percorso.

Diversi altri artisti in quegli stessi anni applicarono la poetica dei Neo-geo, ad esempio Haim Steinbach, artista nato in Israele e formatosi nella vivace cultura underground dell’East Village; la sua prima personale fu organizzata infatti dalla galleria Fashion Moda nel Bronx. Come gli artisti del Neo-geo Steinbach cavalcò l’onda della coesione sociale e relazionale della New York degli anni ‘80, ma per offrire una lettura ancora più spietata della realtà che si presentava. Dalla realtà quotidiana l’oggetto di analisi e di investigazione dell’artista, come in Jeff Koons, si spostava sull’arte stessa, individuando nella ripetizione dell’immagine banale, di memoria pop, la chiave di accesso al piacere estetico. Già nella filosofia classica, come ricorda Mario Perniola nel suo saggio sull’artista statunitense, la ripetizione è cosa intrinseca dell’arte stessa, ne svela il suo meccanismo come affermava Platone.

Ma Platone intendeva la ripetizione di una forma divina. Da Aristotele in poi la bellezza è sinonimo di una copia, ma il suo modello ideale doveva essere un’inconfutabile verità oggettiva. In Kant la verità diventa il bene assoluto, Perniola fa intravedere che nel contemporaneo nessuna verità o bene assoluto può essere individuabile se non nel puro visibile, ovvero l’oggetto kitsch. Il quale non cela nulla, non inganna, al punto da poter diventare credibile come un oggetto rituale. Un oggetto quindi comunque capace di catalizzare il desiderio e di recuperare l’atteggiamento rituale, che sottendeva ed evidentemente sottende al desiderio stesso.

Lo studioso ricorda che l’atteggiamento rituale nel contemporaneo diventa una coazione a ripetere, un atteggiamento compulsivo la cui unica finalità apparentemente è il piacere e, secondo lo studioso, al contempo é il rimandare al piacere stesso. Ma analizzare nel dettaglio questo atteggiamento risulta ormai pressoché impossibile, poiché la comprensione del cambiamento dell’immaginario collettivo è diventato inafferrabile, per le sue dimensioni ecumeniche, e comunque tutto ciò non potrebbe riguardare altro che l’emisfero occidentale (quest’ultima è una mia osservazione).

Ma ciò che rimane inalterato, sempre parlando di un’estetica occidentale, probabilmente era ed è la necessità di una fondazione mitologica, che rappresenti la verità aristotelica a cui rinviare la ripetizione. Ovvero la veritas dell’attuale coazione a ripetere, che giustifichi in qualche modo l’esigenza compulsiva della ripetizione ab infinitum dell’immagine. Ecco che Steinbach non fa che mostrare su delle scaffalature minimali degli oggetti astratti che, come le scaffalature suddette, hanno una consistenza reale. I suoi oggetti kitsch, i suoi peluche sono un “angolo della casa” assolutamente credibile, e quindi indiscutibilmente vero in qualche angolo del mondo e forse per questa ragione anche bello.