Un omaggio alla mia vecchia a 35 anni dalla sua morte

in #ita7 years ago

Non che mi piaccia ricordare i morti.

Odio i morti e odio i cimiteri, ma a volte penso che mia madre non sia stata fortunata con la vita. E ancora meno lo è stata dopo. I miei figli non l'hanno conosciuta, mio nipote nemmeno, mio padre ha smesso di ricordarla molto prima che la demenza gli devastasse il cervello. Mio fratello mi riferisce pezzi sconnessi di ricordi d'infanzia...

E io stessa, beh, ho provato a ricordarla...e ho scoperto che non ricordo praticamente nulla. Non un odore, un colore, un suono.

Talvolta guardo delle foto e provo a immaginare come fosse, nel senso che persona fosse. Anche prima di me.

E beh...molto prima di me, mi dicono fosse così

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O così....

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Insomma quelle foto tipiche del dopoguerra. Giovani emancipate della borghesia romana di multiple origini, con due lauree e un diploma di pianoforte che si fanno largo nel mondo scoppiettante delle opportunità pre boom economico.

Ma è solo una ricostruzione a posteriori.

Quello che è radicato nel primo terzo della mia vita, sono soprattutto tracce che riconosco nel presente. Il mio sorriso storto, alcune occhiate di mio fratello e soprattutto l’espressione di mia figlia e la sua dolcezza piena e imbarazzata.

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Un certo suo modo di piegare la testa di lato lo ricordo, così come ricordo uno sguardo trasversale e malinconico. Una donna d’altri tempi che sa che non tutto il dolore che si prova si può far vedere.

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Ricordo i golfini con le mezze maniche. Uno nero su una gonna di flanella grigia. E gli abitini, un filo di perle e niente orecchini.

Le linee del corpo un po’ appesantite dalle gravidanze, ma capaci di evocare una certa grazia prosperosa e accattivante. E i suoi colori dorati: della pelle, degli occhi grigio-gialli e dei capelli sempre corti, duri e corposi fino all’ultimo giorno di vita.

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(Fonte: spiegel.de)

E poi quel naso importante e strano, proprio suo e che ha voluto tenere per sé, regalandone solo un accenno a mio fratello.

Ho una traccia leggerissima della sua risata e ancora meno della voce, anche se si è fatta strada in me la persuasione di un suono come di biglie di cristallo che rotolano assieme: scintillante, rotondo e persistente.

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(Fonte: aliexpress.com)

Ricordo alcuni degli epiteti antichi e delle frasi ricorrenti che mi indirizzava: squinternata; capocciona; piantagrane; te ne approfitti perché sei simpatica; ti do 100 mila lire per comprarti un bel vestito e tu compri dieci piccole schifezze; io guido meglio di papà; domani sarà passato; abbassa quel vocione.

Ricordo i suoi divieti: no ai capelli sul viso, no al costume di carnevale da fatina o da damina, no alle scarpe con il cinturino da bebè, no ai vestitini a nido d’ape, no all’abito della prima comunione con veli e trine, no ai ragnetti di gomma da scoglio, no a diabolik.

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Perversi effetti del divieto dei capelli sul viso

Ricordo una generosità fuori controllo, ma delle regole assurde sui regali che non potevano mai e poi mai arrivare al di fuori delle feste comandate. O in caso di febbre alta.

Ricordo i notturni di Chopin al pianoforte, e le mani piccole che prendevano un ottava sulla tastiera con un movimento innaturale.

Ricordo i piedi disarmonici e le sigarette quando facevo tardi la notte e la trovavo sveglia. Sigarette tenute in modo goffo, fumate senza vizio, senza piacere, senza dipendenza, senza tecnica.

Ricordo la 500 bianca B95357, la mia prima macchina e il tentativo faticoso di insegnarmi la doppia con il cambio non sincronizzato.

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(Fonte: italy-cars.com)

Credo che dopo tanti anni avesse stretto con la malattia un patto di promiscuità o avesse semplicemente contratto un’abitudine a lei e a tutte le umiliazioni che le imponeva, con quel fare subdolo e aggressivo che ha il cancro, specie quando sa di aver vinto.

Anche la sera dei saluti finali, quando mi disse “stavolta non ce la faccio” in quello squallido pronto soccorso estivo, non c’era alcun melodramma nel suo dire, ma una semplice esternazione del suo rapporto intimo con la malattia, una comunicazione di cronaca, l’annuncio di un rapporto che stava per finire: quello con la vita, ma anche quello con il cancro.

Le bellezze che mi hanno toccato per suo tramite riguardano la capacità di ridere di tutto, di familiarizzare con il dolore, di non contare il resto e di amare come un genitore, che è come sbrinare un frigorifero senza staccare mai la spina.

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Mi piacerebbe che le parole e le immagini di lei continuassero a vivere nella memoria dei giovani di famiglia perché alcune bellezze che passano nella vita si perdono, mentre altre possono essere conservate.

Oggi omaggio la mia vecchia che si è presa il lusso di occuparsi di noi per pochi anni, lasciando però segni lunghi e atomi di amore che non hanno mai smesso di riprodursi.

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Secondo me è bello e giusto ricordare, bel post!

grazie, sì ogni tanto è giusto. basta non eccedere :)

Adoro questi racconti e ricordi di famiglia. Bellissimo

grazie :)

Il magone, stretto stretto tra la gola e l'anticamera degli occhi.

Ho le lacrime agli occhi, è un post bellissimo.

E vabbè, m'hai fatto piangere un'altra volta...
Voto doppio: i cents sono quelli, non uno di più, ...che non è possibile.
Ma dal rifugio, a 2200 m di quota...!!

beh, quindi valgono molto di più :) grazie px

Non è facile parlare dei genitori ..che non ci sono più...brava

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