14. La tomba di Galabel (parte terza)

in #ita5 years ago (edited)

Ilharess abbandonò le sue faccende e gli si avvicinò costernata.
«So di averti deluso, ma devi credermi: non sono riuscita a fare altrimenti. Ho cercato con tutta me stessa una soluzione che potesse mettere tutti d'accordo, ma non ne ho trovata nessuna che non mi facesse sentire un nodo alla bocca dello stomaco, e un artiglio invisibile che mi soffocava. Ho vissuto in una città incantevole, assieme a una famiglia meravigliosa, ma improvvisamente è come se fossi diventata un'altra persona. È come se il mio stesso mondo mi stesse respingendo.»
Ingolf scosse lentamente il capo.
Ilharess fece un altro passo in sua direzione. «A volte accontentare tutti è semplicemente impossibile: questo ho appreso di recente.»
A quelle parole Ingolf sentì che la tristezza iniziava a dissolversi a poco a poco; prima che potesse accorgersene, un angolo della sua bocca si sollevò.
«So di essere un'egoista e me ne dispiaccio, ma credo proprio che sia questa la mia natura, e al momento non c'è molto che possa fare a tal proposito. Posso solamente prometterti che mai e poi mai, ovunque andrò, farò o dirò qualcosa che possa farti anche solo lontanamente vergognare di me.»
Ingolf chiuse gli occhi e sbuffò dalle narici. Anche l'altro angolo della bocca cominciò a sollevarsi, in quella che somigliava sempre più da vicino a una risata.
Ilharess lo guardò indispettita: «È così divertente?»
«Puoi scommetterci!», esclamò suo padre; «Mi deludi, mi spaventi eppure non riesco a redarguirti, perché ti comporti esattamente come avrei fatto io. Poi dicono che non mi assomigli per niente...»
«Che stai dicendo?», sbottò la ragazza, «Tu sei un marinaio e un commerciante, non un bibliotecario.»
«Credi forse che i miei genitori morissero dalla voglia di vedermi fatto a pezzi da masnade di pirati appestati e pieni di hengs?»

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(Foto di Lars_Nissen_Photoart da Pixabay)

Ingolf sghignazzò aspramente come di suo solito, mentre riempiva una costosa pipa di schiuma. Maneggiò l'acciarino lottando contro il vento ed ebbe la meglio.
«C'era un bel peschereccio ad attendermi», disse dopo la prima tirata; «una vita tranquilla e anonima, al riparo da imprevisti e strane avventure. Una posizione più rispettabile di molte altre, tutto sommato. La guerra, quella vera, l'avevano già vinta Gemma Verde e i suoi. La nostra era solo una scaramuccia ai confini del mondo: in nessun caso i pirati di Città del Destino si sarebbero spinti fino alle nostre case, e se i miei compagni ed io non fossimo partiti ci avrebbe sicuramente pensato qualcun altro. In verità, non c'era nessunissimo bisogno di me.»
«Dunque perché lo facesti?»
Era precisamente la domanda che Ingolf si aspettava: «Ne avevo avuto abbastanza di sentir parlare delle imprese degli altri, di vedere belle ragazze come te sospirare ai racconti di guerra e avventura, per poi ridere della mia camicia sporca e della puzza di pesce. Ecco tutto. Volevo semplicemente essere qualcuno. Fu un gesto di vanità e incoscienza ben peggiore del tuo, eppure non saresti venuta al mondo se non avessi fatto quella pazzia, e questo mi dà parecchio su cui riflettere. Forse, in fin dei conti, non ho poi molto di cui potermi lamentare.»
Ilharess abbassò lo sguardo e sorrise timidamente, perché sapeva bene a cosa si riferiva suo padre. Era stato proprio dopo un sanguinoso abbordaggio che il giovane Ingolf, coperto di ferite dalla testa ai piedi, era stato trascinato da alcuni compagni fino a Porto dei Cigni per essere affidato alle cure dei sapienti che da sempre vi dimoravano.
Era stata una guaritrice di nome Calíma a prendersi cura di lui.

«A volte credo che non siamo tutti uguali», mormorò Ilharess; «è come se per certe persone la vita fosse un frutto da cogliere, mentre per altre un'insidia da schivare.»
Ingolf scosse il capo così forte che la mistura fumante rischiò di schizzargli via dal braciere.
«Lo credevo anch'io alla tua età», la avvertì, «prima di vedere dozzine di vecchi spegnersi con la tristezza in fondo agli occhi, dopo aver cercato di affogare nel vino la certezza di aver gettato alle ortiche i loro giorni, accampando le scuse più pietose pur di non ammettere di essere stati dei codardi. La differenza non è tra chi ama il rischio e chi preferisce la tranquillità: tutti bramano l'avventura! La vera differenza è tra chi ha il coraggio di seguire il suo istinto, e chi si lascia abbindolare dai cattivi consigli di quelli che si sono già arresi.»
Prima che Ilharess potesse replicare, Ingolf si batté il petto con quanto restava della mano destra: «Sono io l'egoista, qui, perché vengo da una famiglia povera e speravo di farmi un nome sposando mia figlia al primo sciocco carico d'argento. Ora, se pensi di esserlo stata anche solo la metà del sottoscritto, sono certo che mi perdonerai questa debolezza: tra egoisti ci si intende, giusto?»
Ilharess rimase scioccata, ma solo per un momento. «Lo capisco», disse istintivamente, e fu sincera. «Lo capisco perfettamente, padre, ma c'è anche qualcos'altro che ho capito sul tuo conto.»
Annullò definitivamente le distanze e gli mise una mano sulla spalla: «So che sei un uomo buono, anche se spesso fai di tutto per nasconderlo, e credo di essere anch'io una brava persona, tutto sommato. Dunque l'aver pensato a noi stessi è veramente un male? Qualcosa di cui dovremmo vergognarci? In fondo soltanto gli Dei sanno cosa è giusto o sbagliato, quindi forse preoccuparcene è...»
Ingolf la ascoltava rapito. «È... cosa?», la esortò sorridente, «una baggianata colossale?»
Scoppiarono a ridere nel medesimo istante.
«Forse è vero che non mi somigli per niente, dopotutto!», esclamò Ingolf, «Io devo essermi scassato il cervello a suon di botte in testa e pipe troppo cariche, tu invece a volte sembri una specie di genio.»
«Oh, in fondo anche tu non sei male quando fumi quella roba.»
Risero nuovamente.
A un tratto, senza il benché minimo preavviso, Ingolf le passò la pipa accesa. Ilharess non seppe se a sorprenderla di più fosse il gesto del padre o la sua stessa risposta: «Diamine, sì! Potrebbe essere l'ultima occasione per farlo.»

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(Foto di Devanath da Pixabay)

Qualche minuto dopo era tornata in quel magico luogo dello spirito, quello spazio infinito dove tutti i colori si fondevano in un viola indistinto; il tempo aveva smesso di trascorrere e i pensieri di rincorrersi l'un l'altro, lasciando il posto a una quiete profonda e una consapevolezza assoluta.
Non aveva più paura di niente; anzi, non ricordava nemmeno che la paura esistesse.
«Ora sei tu a non sentirmi», disse Ingolf con aria divertita. Era vero: qualcosa, nelle foglie da pipa, aveva messo nuovamente in moto quella specie di incantesimo.
Ilharess rinvenne con un sussulto.
Erano seduti su un tappeto di erbacce, poco dietro la statua della nonna. «È strano!», esclamò, «Non ricordo dove devo andare, sto tremando, ho la gola asciutta e mi bruciano gli occhi, eppure sono così felice!», e ricominciò a ridere incontrollatamente.
«Non te ne ho data troppa», disse Ingolf allungandole la borraccia, «ti passerà. Nel frattempo, puoi darmi la risposta che sto aspettando.»
Nel dissetarsi, Ilharess lo guardò con aria interrogativa; allora il sorriso di Ingolf si incrinò e il suo sguardo si fece greve. «Ti ho chiesto cosa intendevi con "ultima occasione". Voglio sperare tu non stia progettando qualche altro colpo di testa: un anno, così abbiamo deciso e così sarà.»
«Non mi permetterei mai di ingannarti, e mi ferisce che tu l'abbia pensato. È solo che quando abbiamo diviso quella pipa mi è sovvenuto il pensiero che qualunque incontro, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere l'ultimo. Siamo abituati a dare per scontate le persone e le cose che ci circondano, eppure non abbiamo idea di cosa gli Dei abbiano in serbo per l'indomani. Prendi Elayne: un giorno era con noi, il giorno seguente era scomparsa. Credo che dovremmo imparare tutti ad approfittare di più dei momenti che ci vengono dati, senza rinviare i nostri progetti più del necessario, e soprattutto senza lasciare le conversazioni a metà.»

Ingolf tacque e sospirò.
«Un pensiero lugubre per certi versi, ma veritiero», riconobbe infine. «Ebbene, se questo fosse il nostro ultimo incontro cosa mi diresti?»
Ilharess non aveva dubbi: «Che non avrei potuto desiderare un padre migliore del mio, poiché mi hai dato tutto senza togliermi nulla; e che, ovunque andrò, dirò a tutti di chi sono figlia e me ne vanterò.»
Guardò Ingolf levarsi in piedi, come bisognoso di sgranchirsi le ginocchia. «Tu cosa diresti, invece?», domandò mentre suo padre le voltava le spalle.
Il vecchio lupo di mare si liberò di un grumo di catarro senza troppi complimenti, quindi infilò le mani in tasca e lasciò che la salsedine gli riempisse i polmoni.
«Tua nonna», dichiarò. «Non ti abbiamo detto tutto sul suo conto, e non mi sembra giusto che tu te ne vada senza aver mai conosciuto la verità. Potrebbe essere la nostra ultima conversazione, del resto, come mia figlia mi ha insegnato.»
Ilharess sentì le spalle irrigidirsi e la gola prosciugarsi nuovamente. Lo stomaco parve come attorcigliarlesi dentro: le foglie da pipa amplificavano ogni sensazione, apprese in quel momento, bella o brutta che fosse.
«Oserei dire che te la sei guadagnata: è ai bambini che si cercano di risparmiare le preoccupazioni, mentre tu parli e ragioni da donna, ormai, e per questo sono fiero di te.»
«Cosa intendi dire?»

«Prima che io parli, è necessario che tu capisca bene una cosa: anche i potenti sbagliano. Da piccoli ci viene insegnato che i nostri re e principi sono infallibili, che tutto ciò che esce dalla loro bocca è indiscutibilmente saggio e giusto, ogni loro azione è dettata dal Bene assoluto e chiunque vi si trovi in disaccordo è giocoforza un malfattore, o un povero ignorante nel migliore dei casi.»
Ilharess si rimise in piedi a sua volta: «Prima mi fai preoccupare, poi mi tieni sulle spine: è crudele e scorretto.»
«Ascoltami: a questo mondo ciascuno ha i suoi interessi, e il primo interesse di ogni governante è quello di non mostrarsi mai debole o impreparato. Per questo a volte devono mentire, sporcarsi le mani e persino tradire, in certi casi.»
«Tu però hai parlato di mia nonna. Non capisco come tutto questo abbia a che fare con la nonna.»
Ilharess lo raggiunse costringendolo a voltarsi: «Basta coi giri di parole. Hai detto che sono una donna adulta, ed è come tale che esigo di essere trattata. Guardami, e sputa il rospo una volta per tutte.»
Ingolf obbedì.
«Crediamo... anzi, sappiamo che tua nonna era una brava persona. Al principe, però, serviva qualcuno da incolpare; mi riferisco al padre di colui che chiamiamo "principe" al giorno d'oggi, per l'esattezza. Porto dei Cigni deve il suo buon nome alla sicurezza delle sue strade e alla solidità delle sue mura: non potevano permettere che un delitto restasse irrisolto. Questo avrebbe tolto autorevolezza alla dinastia, capisci? Li avrebbe fatti sembrare uomini come gli altri. Uomini che possono sbagliare e che pertanto, come chiunque altro, possono essere messi in discussione. Galabel veniva da fuori città, non amava parlare di sé e del suo passato, non aveva amici importanti né grandi affari di cui occuparsi. Era la persona ideale sulla quale scaricare qualche colpa, una persona sacrificabile
«La nonna era considerata una specie di criminale? È questo che mi stai dicendo?»
Ingolf annuì.

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(Foto di Frank Winkler da Pixabay)

«Non riuscivi mai ad accettare il fatto che restasse confinata qui, ricordi? Piangevi disperatamente ogni volta che si rifiutava di seguirci in città. In verità Galabel l'avrebbe tanto desiderato, ma le era stato proibito. Era stata esiliata.»
Ilharess faticava a crederci.
Levò lo sguardo a sud-est: all'ombra di un'alta penisola montuosa, aggrappato ad essa per mezzo di un istmo già in procinto di svanire sotto l'alta marea, si ergeva il Colle Elfo con la sua bianca cittadella, il maestoso porto e i vessilli blu spiegati al vento. Il Palazzo dei Principi dominava il panorama come una perla incastonata tra terra e mare.
Faticava a credere che un qualunque misfatto si fosse mai consumato tra le belle genti di Porto dei Cigni, che si conoscevano per nome e non chiudevano mai a chiave l'uscio di casa. Non riusciva a capacitarsi che una qualunque persona potesse mai essere stata respinta da quello che era sempre stato un rifugio per i mansueti e gli onesti, il porto sicuro che nessuna guerra era mai riuscita a raggiungere.
Men che meno la nonna, sempre così pacata e amorevole.
«Esiliata per cosa, esattamente?», domandò con la voce arrochita dall'incertezza.
«Omicidio.»

(Continua...)

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