Flusso di pensieri camminando per Barcellona

in #ita5 years ago (edited)

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 6 S1-P2-I1 di @spi-storychain, sulla base delle indicazioni della vincitrice precedente @noemilunastorta

Tema: Figli
Ambientazione: Barcellona

Flusso di pensieri camminando per Barcellona

11 Febbraio 2020

Eccomi di nuovo nella mia amata Barcellona.
Ora, come allora, mi sembra di tornare a respirare dopo lunghi anni di apnea.
E’ magica, questa città, e speciale. Mi massaggia il cuore, ristora i miei occhi ed affascina la mia mente.
Mi scalda fino alle radici.
Cammino lungo il Passeig de Gràcia, circondata da strade eleganti e negozi raffinati. Camminare mi rasserena e mette pace nel mio animo in tempesta. Camminare in questa città, poi, mi aiuta anche a pensare, lasciandomi andare del tutto.

Casa Batllò, poi Casa Milà. Ma anche le fontane, i marciapiedi, o gli eleganti lampioni del modernismo catalano. Mi godo ogni cosa, sovrapponendo le immagini che scorrono d’avanti ai miei occhi alla dolcezza di quelle dei ricordi. Con passo andante, ma senza fretta, risalgo la lunga strada fino a Diagonal. Potrei prendere la metro e risparmiarmi la salita per Gràcia, ma ci ripenso e mi inoltro fra le stradine del Barrio più hipster della città, uno dei miei preferiti. Vengo travolta dai colori e dalle vetrine dei negozi, che ora come allora espongono le merci più originali di Barça, talora bizzarre. Mi addentro nelle piccole carrer, dove i locali notturni presto si riempiranno di giovani catalani e pochissimi turisti.
Giungo infine in Carrer d’Astùries, la mia via preferita. Non è cambiato nulla, penso tra me e me. Mi sento carezzata e confortata dallo scorrere cristallizzato del tempo. Chissà se c’è ancora, qui vicino, quella meravigliosa teteria japonesa.

Nessuno sapeva fare il matcha-latte come loro. Quasi quasi ci faccio un salto: le sue sale essenziali ma accoglienti sarebbero perfettamente adatte ad accogliere e cullare il mio stato d’animo. Oppure no, nonostante i chilometri già fatti sento ancora il bisogno di camminare.

Mare.
Sento il bisogno di vedere il mare.

Abbandono l’aria frizzante del Barrio de Gràcia e mi dirigo rapidamente verso la metro Fontana per spostarmi in tutt’altra zona della città. La carrozza del treno si riempie man mano che ci avviciniamo alla Rambla de Catalunya, per poi svuotarsi quasi del tutto fra Plaça Catalunya e Liceu. Scendo a Drassanes, ritrovandomi alle spalle della statua di Colombo. L’aria gioiosa e turistica della Rambla mi travolge, persino gli alberi spogli che la costeggiano fitti sembrano festosi.
Li ricordo come erano a primavera, prima di andarmene tre anni fa, ricoperti di quel verde tenero delle foglie nuove, che presto avrebbero formato fronde ombrose e ristoratrici a proteggere i passanti dal caldo dell’estate.

Mi lascio subito alle spalle Rambla e Colombo, per percorrere la Rambla del Mar. Con lo stesso brivido di sempre, guardo giù, fra le assi di legno della passerella sospese fra le onde, immaginando per un attimo di cadere in acqua. Una folata di vento freddo mi sferza il viso e fa innalzare le acque attorno a me, quasi ad aver percepito le mie paure. Con un guizzo di sfida alla natura raddrizzo le spalle, tiro il cappuccio del piumino sulla testa e mi affaccio dal parapetto.

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Le barche ormeggiate ondeggiano all’unisono nell’acqua quieta della Dàrsena. Il vento ed il mare si calmano un istante: mi immagino che sia un segno di rispetto per il mio ritrovato coraggio. La sera illumina la città già da tempo, ed il freddo mi mordicchia naso ed orecchie, ma non voglio ancora tornare indietro. Resto così, aggrappata al parapetto, ammirando le barche come un tempo amavo fare. Infine, mi dirigo fino in fondo al pontile, dove so che, solitaria, dopo il centro commerciale, una panchina attende chi desidera meditare assaporando un piccolo scorcio di mare.

Com’era bella la mia vita qui. Tutto sembrava possibile, ed ogni cosa mi lasciava col sorriso, vivendo gli eventi con una calma precedentemente a me aliena. Barcellona mi aveva reso una persona migliore. Ma sono andata via, rifiutando anche il dottorato che mi avevano offerto. Non era ancora il momento di stabilirmi qui, ma quanto ero stata felice! Ed oggi? Vivo in una città caotica e sporca, che riesce ad innervosirmi ed anche a trasformarmi in peggio. Ho sempre pochissimo tempo, dividendomi tra due diverse carriere parallele: quella che sogno da una vita e quella che mi rimpingua il conto in banca. Ho un marito meraviglioso, ed una famiglia stupenda. Riesco ancora a dedicare del tempo a me stessa, a coltivare le amicizie, a saper ridere di niente, felice anche solo per le persone che mi circondano e mi amano. Nonostante la mia età, sto iniziando appena adesso a realizzare i miei sogni, così a lungo soffocati da me e dagli altri.

…e quindi perché mai, perché mai dovrei volere un figlio? Perché mai dovrei desiderare questa catastrofe nella mia vita, una vita che deciderei di annientare in nome di una maternità non voluta. Con una creatura tra i piedi non potrei fare più nulla di quello che amo.
Perché si sa: i doveri li continui a compiere; le necessità, come mangiare e dormire, le riduci all’osso ma restano ben salde, seppure al minimo. Sono i piaceri i primi a saltare, e gli ultimi a ritornare, se mai ritorneranno.
Non potrei più (forse mai più!) dedicarmi al mio piccolo sogno, che già la vita mi ha portato quasi via, ed io con grande fatica sono riuscita a strapparne un piccolo angolino, che coltivo timidamente e quasi in segreto. Non potrei più fare le mie lunghe passeggiate per svuotare la mente, non potrei più decidere di trascorrere una domenica in totale relax, a coccolare mio marito, a guardare film o leggere un libro anziché fare il bucato e cucinare. Non potrei più pensare solo a me ed alla coppia. Un figlio ti cambia la vita, e come un parassita risucchia ogni cosa di te per poter crescere e prosperare lui. Vuole tempo, vuole affetto, vuole cibo. Lo devi proteggere, lavare, vestire, scaldare, amare. Gli devi insegnare tutto, persino a camminare ed a parlare. Tu ti annulli, lui cresce. Sono pronta, io a rinunciare alla mia vita?

Che poi, lo dico da quando avevo 16 anni che io marmocchi puzzolenti e rumorosi e demandanti in giro non ne voglio. Sono successe tante cose in tutti questi anni, ho cambiato idea tante volte e su tanti pensieri, ma mai su questo, mai, non ci avevo mai nemmeno ripensato, come fosse un fatto assodato, che se ne stava assopito lì, in un angolino. Fino ad oggi.

Quegli occhi così dolci, quelle labbra piene d’amore, che mi guardano mentre mi stringono al calore del suo corpo e mi sussurrano “Voglio un figlio da te, amore mio”. E’ stato un colpo basso, quello di questa mattina, sferrato nel mio momento di debolezza, quando la massima felicità per essere tornata in questa città, per essere insieme a lui che ha reso la mia vita perfetta, e durante la mia festa preferita, che tanto desideravo rivedere, mi hanno fatto abbassare la guardia. Mi ha colpita mentre ero disarmata, e come una bestia ferita l’ho attaccato, piena di paura e di rancore. Abbiamo litigato così tanto.

Stringo le mani inguantate dentro le tasche, ed affondo il viso nella sciarpa, ricoprendolo fin sopra il naso. Rilasso gli occhi, da cui il pensiero di aver litigato con lui fa scivolare due piccole lacrime. Odio litigare con la persona che amo.

Ascolto il suono delle onde.

Il mio sguardo fissa il molo lì di fronte, dove un grande, pittoresco orologio mi fissa beffardo dalla sua torre, separato da questa sponda da una lingua di mare, e mi sento presa in giro. Il mio pensiero va a quegli idioti che fanno figli perché hanno l’orologio biologico che scade; a quelli che restano incinti e si tengono il fardello; a quelli che nemmeno stanno lì a pensarci su troppo, e come viene la prendono; a quelli che glielo comanda la religione, ed i figli non sei tu a farli, ma Dio. Quanto li odio, questi idioti. Li odio e li invidio, perché nella loro semplicità campano sicuramente più felici di me. Forse sono troppo cerebrale anche in quella che è fra le cose più naturali ed istintive del mondo. Forse ci sto pensando troppo, e dovrei solo lasciarmi andare, prendendola anche io come viene. Ma no, non è nelle mie corde. Mi faccio troppi problemi, è nella mia natura. Una folata di brezza marina mi giunge alle narici, pizzicandomi le guance.
All’improvviso sento qualcosa di diverso, qualcosa che sta cambiando.
Un pensiero si insinua virulento nella mente, facendo breccia nel mio cuore.
…e se invece lo volessi anche io? Se avessi solo paura e la nascondessi dietro questo flusso di pensieri? E se…

Sento squillare il cellulare, che interrompe il flusso dei miei pensieri. Leggo il nomignolo con cui ho registrato mio marito, cui non do notizie da oggi pomeriggio, quando sbattendo la porta sono uscita per allontanarmi da lui, fuori a camminare e schiarirmi le idee.

<<Ciao tesoro. Come stai?>>
<<Un po’ così…>>
<<Scusa per oggi, non volevo prendere così la discussione…>>
<<Scusami tu, non me l’aspettavo ed ho reagito peggio di quanto volessi. Non volevo dirti quelle cose.>>
<<… è che eri così bella, nella luce del mattino, che non ho resistito. Per me è stato come dirti che ti amo, ti amo più della mia stessa vita. Da sempre. E lo sai.>>
Non merito tutto questo, penso mentre un nodo alla gola mi impedisce di proferire parola e non riesco a fermare le lacrime per la gioia di sentire la sua voce suadente.
<<Dove sei adesso?>> mi chiede.
<<Al Maremagnum, di fronte al mare.>>
<<Hai sempre adorato quel posto. Se vuoi dopo cena ci torniamo insieme e parliamo un po’. Adesso però torna su. Ho prenotato da Teresa Carles. Ti ricordi dov’è? Ti aspetto li. Sto uscendo adesso dall’hotel.

Teresa Carles. Come potrei dimenticarlo. Raccatto i miei pensieri, ricompongo i miei sentimenti, ed inizio a risalire verso Plaça Catalunya, felice di poter presto riabbracciare il suo calore, e di poter sentire il suo profumo, che odora di hogar.

Non ha senso angustiarsi da sola, ne parleremo insieme, come facciamo sempre. E poi domani voglio assolutamente godermi la festa di Santa Eulalia, girare per il Barrio Gotico, correre dietro i Correfoc e partecipare alla Parada de Gigantes, davanti ai quali si esibirano i Castelleres in Plaça de Sant Jaume, sede del municipio.

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C’è tempo per pensare ai figli, per adesso ciò che conta siamo solo noi due.

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Nota: Hogar è un concetto intraducibile in italiano. E’ la casa, intesa come focolare domestico, affetti compresi, molto simile alla differenza in lingua inglese fra home ed house.

Tutte le foto appartengono all'autore.

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Molto bello e realistico. Affrontare una decisione del genere, non è mai facile.

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Ti ringrazio, spero tu possa goderti anche la versione corredata di immagini, che ho aggiunto dopo.

Un valore aggiunto le tue foto! Brava!

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Sai scrivere davvero molto bene complimenti, poi l'ambientazione è fantastica, Barcellona mi è piaciuta tantissimo e mi hai fatto tornare alla mente bei ricordi nominando i luoghi e vedendoli in foto!

Ti ringrazio per tutti i bei complimenti che mi fai. In effetti per me è stata una vera e propria passeggiata virtuale nei luoghi della mia città del cuore.