Fatti, bufale e cialtronerie su COVID-19 - Il pipistrello e il pangolino

in #ita4 years ago (edited)

Fin dai primi drammatici giorni di questa epidemia, molte persone si sono sentite in dovere e in diritto di avanzare ipotesi circa la provenienza del SARS-CoV-2, il virus che sta bloccando il mondo. SARS-CoV-2, appunto, perché questo è il suo nome; non COVID-19, non coronavirus. Questi termini non sono sinonimi tra loro, ed è importante capire l’esatto significato di ciascuno di essi, perché parte della disinformazione che dilaga in questo periodo approfitta anche della confusione sui nomi per giustificare diverse tesi strampalate. In particolare, come detto, il virus prende il nome di SARS-CoV-2, e appartiene alla grande famiglia dei coronavirus (ebbene sì, ce ne sono parecchi, questo non è l’unico). COVID-19, invece, è il nome della malattia da esso causata, e significa COronaVIrus Disease 2019.

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Immagine CC0 Creative Commons - Fonte

Tra le tante fantasiose teorie presentate al mondo in questi giorni difficili, le più classiche riguardano, come dicevamo, proprio la provenienza del virus. Abbiamo sentito davvero di tutto, ma credo che le ipotesi che vanno per la maggiore siano fondamentalmente tre:

  • Il virus è un prodotto della natura, giunto all’uomo dal pipistrello dopo essere passato per un ospite intermedio, attraverso un processo chiamato spillover.
  • Il virus è un prodotto della natura, fuoriuscito da un laboratorio nella città di Wuhan dove veniva studiato in gran segreto.
  • Il virus è stato creato in laboratorio attraverso tecniche di ingegneria genetica (bioingegneria, direbbero i complottisti) e poi rilasciato per essere usato come arma biologica.

Francamente mi sento un po’ in difficoltà nel commentare queste tesi, perché da un punto di vista logico, e non scientifico, in realtà solo una di queste affermazioni ha le caratteristiche necessarie per essere considerata un’ipotesi valida. Sottolineo che questo non lo dice la scienza, ma lo affermano altre discipline come la filosofia. La prima affermazione, infatti, è l’unica che basa le proprie conclusioni su fatti oggettivamente osservabili. Le altre due, invece, non sono giustificabili nemmeno da un punto di vista empirico, e quindi non scientifico, e muovono le loro conclusioni senza alcune prova di supporto. Sono, come diremmo in Italia, campate per aria.
Queste premesse dovrebbero già di per sé rendere superflua qualsiasi discussione. L’arte del dialogo, infatti, richiede, perché una discussione possa avvenire in modo onesto, che tutte le affermazioni fatte debbano avere delle basi oggettive e misurabili.
La prima tesi, quindi, può essere condivisibile o meno, ma è supportata da dati e osservazioni oggettive sulle quali è possibile costruire l’impalcatura del discorso: i dati possono essere controllati, le osservazioni ripetute e, nel caso, smentite. Le altre due affermazioni, invece, non hanno niente di tutto questo: tutto ciò che le giustifica sono collegamenti più o meno verosimili e contingenze varie; non c’è nulla di concreto e di misurabile. Questo rappresenta una falla critica nello svolgersi di una discussione sana.
Tuttavia, trattandosi di due tesi ampiamente sostenute da una parte della popolazione, fingeremo per oggi, e solo per oggi, di poter costruire un dibattito a riguardo.


Inizieremo, per comodità, smontando la teoria della creazione del virus in laboratorio. Purtroppo, come dicevamo, non esistono elementi probatori a favore sui quali discutere, perché non ne sono stati forniti; ma se qualcuno volesse darmene, lo invito a postare nei commenti qui sotto. Proverò allora a illustrare i principali elementi a sfavore.
In particolare è importante sapere che, al mondo, la manipolazione dei virus avviene in tantissimi laboratori per motivi di studio e di prevenzione. Non si tratta di un’attività segreta, tutt’altro. I laboratori che se ne occupano, ovviamente, devono richiedere moltissime autorizzazioni, e tenere traccia di quello che viene fatto, così che i dati siano disponibili alla comunità scientifica. I ricercatori dispongono di diversi strumenti per poter manipolare i virus, tutti ben conosciuti e rodati. Qualunque operazione di modifica di un virus deve necessariamente transitare attraverso questi strumenti, e ognuno di essi lascia dei segni ben precisi e assolutamente riconoscibili. Quando si modifica un virus è necessario tagliare il genoma del patogeno, inserire o rimuovere la parte interessata, e poi ricucire il tutto; ecco, il taglio e la conseguente cucitura lasciano segni ben visibili da chi sa come e dove guardare. Riprenderò nel dettaglio l’argomento quando parleremo della tesi a favore dell’evento naturale, ma per ora è sufficiente saper che nessun laboratorio al mondo, tra quelli che ad oggi hanno analizzato il virus, ha riconosciuto segni di manipolazione. Considerate le rivalità tra alcuni dei paesi interessati, è estremamente improbabile che qualcuno stia nascondendo qualcosa; al contrario, si è scatenata una vera e proprio gara per scoprire quanto più possibile sul virus, e una scoperta del genere sarebbe stata immediatamente divulgata.

Un discorso simile può essere fatto per la tesi che prevede l’origine naturale del virus, ma la sua diffusione ad opera di un laboratorio. Se il virus fosse transitato da un qualche laboratorio, probabilmente qualcuno ne avrebbe tenuto traccia. Si dà il caso, però, che ormai il virus sia disponibile un po’ ovunque e tutti gli studi indipendenti che sono stati fatti riconoscono che si tratta di un virus nuovo il cui genoma non era stato precedentemente incontrato altrove.
Molte persone non hanno ben chiaro quello che accade nei laboratori, ma suppongo che per tutti quanti sia più che lecito immaginarsi che, il primo passo quando si vuole studiare un nuovo virus, è quello di sequenziarne l’intero genoma.
Pe altro, un virus in condizioni di laboratorio difficilmente muta, a meno che non lo si modifichi artificialmente, perché non sottoposto a selezione naturale; come vedremo tra poco, però, questo virus mostra evidenti segni di selezione naturale.

Analizziamo ora la prima ipotesi, e cioè quella che prevede l’origine naturale del virus e il suo passaggio all’uomo a causa di eventi casuali. Per comodità elencherò tutte prove a favore di questa tesi:

  • Il SARS-CoV-2 si è rivelato essere per il 96% identico al virus RaTG13, un coronavirus abbondantemente presente nei pipistrelli della specie Rhinolophus affinis, comune in Asia. Una somiglianza impressionante, che ci permette di affermare con buona ragione che il RaTG13 e il SARS-COV-2 potrebbero avere un parente comune, il progenitore dell’attuale virus.
  • Il sito di legame del SARS-CoV-2, ossia quella parte che permette l’interazione con le cellule umane, è codificato da una sequenza (parte del genoma) chiamata RBD. La sequenza RBD del SARS-CoV-2 è profondamente diversa da quella del SARS-CoV dell’epidemia del 2003, e questo indica che non si tratta dello stesso agente. Inoltre, il recettore RBD del RaTG13 dei pipistrelli non lega i recettori umani in modo efficacie, e questo testimonia una variazione del recettore trovato nel SARS-CoV-2.
  • A sua volta, il recettore RBD del SARS-CoV-2 si lega al recettore ACE2 delle cellule umane con un’affinità altissima. Un’affinità di questo tipo non è raggiungibile in laboratorio con le tecnologie di cui disponiamo, e può essere spiegata solo con un evento di selezione naturale; questo solo elemento sarebbe già sufficiente per ritenere qualsiasi tesi a favore dell’origine artificiale del virus completamente sbagliata.
  • Nel pangolino della Malesia (Manis javanica) sono stati identificati alcuni coronavirus simili al SARS-CoV-2. Questi coronavirus hanno un grado di somiglianza inferiore a quello del RaTG13 dei pipistrelli; tuttavia, mostrano un recettore RBD estremamente simile a quello del SARS-CoV-2. Questa somiglianza potrebbe essere stata esasperata da processi di selezione naturale per rendere il recettore estremamente affine agli ACE2 umani. Processi di questo tipo non sono assolutamente possibili in laboratorio.
  • Il SARS-CoV-2 presenta siti di clivaggio polibasici che non sono stati riscontrati né nei coronavirus di pipistrello né in quelli di pangolino; questi sono i siti all’interno del quale avviene il taglio delle proteine virali e, se polibasici, garantiscono una maggiore e più efficace replicazione del virus. Sono stati osservati in altri coronavirus che attaccano l’uomo e, trattandosi di siti ad alta variabilità, è probabile che siano contenuti anche in coronavirus animali non ancora identificati.
  • Tutte le mutazioni descritte sono eventi che avvengono comunemente in natura, e accadono con maggior frequenza nelle popolazioni ad alta densità. Le colonie di pipistrello appaiono come i candidati perfetti, in quanto possono contare migliaia di unità; lo stesso si può dire per la promiscuità e l’elevato numero di animali presenti nei mercati umidi come quello di Wuhan.

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Cosa può essere accaduto quindi? L’unione di tutte queste evidenze permette la formulazione, secondo logica e scienza, di una sola teoria, che ammette comunque alcune possibili differenze.
In generale, lo scenario più probabile vede un pipistrello a stretto contatto con un pangolino, e uno scambio di fluidi (e quindi anche di virus) tra i due. Nei mercati umidi cinesi gli animali vengono riposti in gabbie affollate e accatastate, ed è comune che le feci prodotte dagli animali presenti ai “piani alti” finiscano su quelli dei “piani bassi”, trasportando patogeni di ogni genere. Il pangolino, quindi, potrebbe essere venuto in contatto con un virus mai incontrato prima, presente nei pipistrelli, simile ma non uguale ad altri virus già presenti nella specie. La replicazione di questo virus, in concomitanza con quelli già appartenenti alla specie stessa, potrebbe aver generato un virus con caratteristiche miste, e in particolare la gran parte del genoma del virus del pipistrello, e i recettori RBD del pangolino. La probabilità che una mutazione del genere avvenga in un contesto in cui sono presenti molti animali è molto alta; dobbiamo infatti immaginare non due singoli individui di pipistrello e pangolino, ma gruppi di animali e situazioni che si sono riproposte più e più volte nel tempo. Questo incontro potrebbe aver generato diversi nuovi virus che di volta in volta sono finiti nei dipendenti del mercato, senza mai trovare terreno favorevole e quindi senza riuscire a sfruttare le cellule umane per replicarsi causando una malattia. Una di queste mutazioni, però, ha infine casualmente generato anche una mutazione dei recettori RBD tale da generare un’elevata affinità per i recettori ACE2 delle cellule umane. A questo punto, il virus è riuscito a legare e a infettare le prime cellule umane, compiendo il salto di specie.

Resta da capire se la mutazione fondamentale sia avvenuta prima del salto di specie, e quindi secondo le modalità già descritte, oppure dopo, secondo meccanismi leggermente differenti ma altrettanto possibili.

Per onestà intellettuale bisogna sottolineare che un simile risultato si potrebbe raggiungere anche in laboratorio, ma attraverso processi di selezione totalmente casuali. Come già detto, infatti, non disponiamo di tecniche utili a generare un virus con così elevate affinità.
Sarebbe necessario, per esempio, garantire la possibilità al virus di replicare in coltura cellulare, attendendo che una mutazione casuale generi l’effetto sopra descritto. Questo richiederebbe probabilmente un tempo lunghissimo, e una combinazione di sfortunati eventi particolarmente improbabile dal punto di vista statistico. Ad ogni modo, studi ed esperimenti di questo tipo avrebbero dovuto lasciare tracce che, invece, non vi sono. Sia il genoma del SARS-CoV-2, sia i suoi recettori RBD sono entità del tutto nuove alla scienza.


Conclusioni

Esiste quindi un gran numero di elementi a supporto dell’ipotesi appena descritta, mentre non esiste una sola prova reale a supporto delle altre ipotesi, che rappresentano solo una storiella creata a partire da elementi del tutto casuali incastrati, non senza qualche difficoltà, tra di loro.
Questo non le rende delle ipotesi alternative, ma solo delle cialtronerie. Qualsiasi ricercatore, infatti, è ben disposto ad accettare tesi alternative, a patto che queste abbiano un qualche elemento su cui basarsi.
Non si può prendere che le proprie ipotesi alternative vengano considerate tali, se prescindono da questi elementi.

Chiunque decida di formulare una teoria ha l’onere e l’onore di produrre queste prove. Non è corretto fare un’affermazione e lasciare agli altri il compito di trovare argomenti per confutarla.
Se qualcuno volesse affermare che bere acqua danneggia il corpo umano, potrebbe farlo a patto che garantisca adeguate argomentazioni alla propria tesi, e non con la presunzione di chiedere al resto del mondo di dimostrare che si sbaglia.

Ciascuno di noi, tenendo ben in mente questi princìpi, dovrebbe essere in grado di compiere almeno una prima analisi delle notizie e dei fatti di cui viene a conoscenza, escludendo almeno le palesi stupidaggini.


Fonti

Kristian G. Andersen, Andrew Rambaut, W. Ian Lipkin, Edward C. Holmes & Robert F. Garry (2020).
The proximal origin of SARS-CoV-2. Nature Medicine.




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Accidenti mi aspettavo più un "Chi ha incastrato Roger Pangolino" 😃😂😂😂

I tuoi post sono sempre stati interessantissimi e anche questa volta hai centrato in pieno il bersaglio. Un saluto, nicola

Grazie mille come sempre @knfitaly. Oggi vediamo se riusciamo a portare una piccola sorpresa su Hive.

Grazie mille per queste preziose informazioni!
Condivido in altri social dove le fake abbondano!

Grazie a te per le condivisioni. In questo momento è importantissimo!
E questo è il motivo:

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Grande! 😂😂😂
Grazie ancora per renderlo comprensibile anche per gli asini, con tutto il rispetto per questi simpatici animali. 👏


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