Polvere di clessidra

in #writing5 years ago

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La polvere della clessidra stava fluendo inesorabilmente dal bulbo superiore a quello inferiore.
E polvere sarebbe diventata la loro storia d’amore.
Un ricordo.

Si dice che ci sono tante stagioni per l’amore.
Loro due avevano esaurito tutte le quattro stagioni…o meglio, era forse rimasto qualche momento dell’autunno, qualche momento crepuscolare.

Attraverso la nebbia di quel loro autunno vedevano scendere la polvere senza poterla fermare.

Once again.
Ancora una volta.

Avevano deciso di fare un ultimo tentativo.
Di tornare a quel campeggio dove il loro cuore aveva incominciato a battere in sintonia, all’unisono.

Non vorrei sembrare troppo romantico, ma non riesco a trovare altre parole…scusatemi.
Ma mi sa che devo raccontarvi qualcosa di più della loro semplice eppur luminosa avventura d’amore che da due anni sembrava spegnersi.
Li chiameremo Mara e Marco.

Si erano conosciuti in un campeggio in Sardegna.

Un campeggio in alto, con una vista mozzafiato sul mare e sugli scogli.
Ogni giorno si scendeva ad una spiaggetta dove Marco con la sua compagnia si tuffava nell’acqua azzurra e limpida.
Mara era con le sue amiche e si immergeva abilmente fra polpi e piccole grotte sottomarine.

Un giorno Marco decise di fare un tuffo più difficile – galeotto fu quel tuffo – e finì per sfiorare con una gamba lo scoglio.

Uscì dall’acqua grondante sangue.
Era una ferita da niente, ma faceva impressione.
Mara non esitò: gli verso dell’acqua dolce sulla ferita e lo medicò.

Non si conoscevano, ma si conobbero.
Non sapevano nulla l’una dell’altro e seppero tutto l’uno dell’altra.
Gli occhi azzurri di lei brillavano in quelli scuri di lui. E così via in un scintillio di sguardi, sobbalzi, svenimenti, vortici, galoppi di puledri selvatici.

Quei giorni di vacanza in quel luogo furono i più belli della loro vita, che pur per molti anni fu piena di felicità e sorprese, tra cui la nascita di Martina e di Marianna.
Tutte due inevitabilmente con le prime due lettere come quelle dei loro perdutamenteinnamoratisenzafine genitori.

Senza fine…no…purtroppo non senza fine…da due anni, lentamente, l’ultima stagione stava finendo.
La polvere della clessidra stava precipitando in basso come un rivolo implacabile.

Le avevano provate tutte. E non si erano negati verità e aperture.
Non c’era un’altra donna, non c’era un altro uomo. Sarebbe stato troppo banale e troppo meschino per quel loro amore.
Semplicemente, all’unisono, in sintonia, stavano allontanandosi.

Le due figlie erano grandicelle e le avevano lasciate dai nonni, cari nonni (come sempre ci sono i nonni che danno una mano).
E in quell’agosto erano ripartiti per l’ultima prova.

Nessuno dei due poteva accettare che tutto finisse così.
A volte, quando ne parlavano, si stupivano di quello che stava succedendo e ci scherzavano anche sopra.
“Ti ricordi quando facevano il bagno insieme, nella vasca? Ti ricordi quando facevamo la doccia insieme? Ti ricordi quando ci scambiavamo lo spazzolino da denti? Ti ricordi quando tu mi hai portato centodue rose rosse?”

Ti ricordi? La via del ricordo diventa un bivio, da una parte il ricordo amaro, dall’altra il ricordo che nutre il presente di forza e gioia.

Insomma ora si trovavano nel campeggio, in Sardegna, per provare a fermare la polvere della clessidra

Dormivano in tenda, in due sacchi a pelo, separati…in casa.
Ma scendevano alla spiaggetta, nuotavano, prendevano il sole, qualche delicata carezza, qualche pizza al bar e alla sera, prima del tramonto si sedevano, in alto a guardare in basso le onde che si scagliavano contro le pietre.
Era un baratro affascinante e lontano l’orizzonte ti faceva sognare viaggi interminabili.

Successe un mattino.
Marco si tuffò e riemerse con un grido di dolore.

Una medusa.
“Maledizione!”
Risalì a riva, imprecando e ridendo.
Mara, pronta, gli versò acqua dolce e quando tutto fu asciutto gli spalmò una crema lenitiva.
Come un tuono il ricordò di quel primo tuffo scoppiò nell’anima.
Timidamente, si baciarono.
“Questa notte lo facciamo, cosa dici?”
Mara lo guardò e capì.
“Dai!”
Come in quell’estate di diciannove anni prima aspettarono la notte fonda e uscirono silenziosamente.
E incominciarono a seminare scompiglio fra le tende.
Senza fare il minimo rumore, spostarono i panni stesi da una tenda all’altra, scambiarono le scarpe posate fuori, trafugarono le sedie, portandole ai bordi del campeggio, nascosero nei bagni alcuni materassini incautamente lasciati fuori dalle tende.
Furtivi come furetti tornarono nella loro tenda, imprigionando le risate in sospiri sommessi.
E quella notte i loro sacchi a pelo si unirono come un tempo.
E dovettero imprigionare le loro urla in vagiti di bimbo appena percettibili.

Il giorno dopo scesero alla spiaggetta, allegramente, lasciando alle loro spalle i lamenti dei campeggiatori alla ricerca dei propri averi.

Ora il mare era più limpido che mai, il sole brillava fra le pieghe delle loro tristezze, una leggera brezza tentava di fugare piume di malinconia.
La polvere della clessidra si era fermata, qualche granello cercava di risalire il flusso come i salmoni nei torrenti.

E fu la sera.
Tornarono al campeggio, tenendosi per mano.
Andarono, come allora, come ogni sera, sull’orlo dell’abisso.
Luccichio d’argento delle onde, un vago rossore all’orizzonte come guance di timida fanciulla.
Si sedettero in silenzio.
“Io non smetterò di averti con me.”
“Io non smetterò di averti con me.”
“Le nostre figlie cresceranno con noi due, sempre vicini.”
“La nostalgia non potrà appartenerci. Non la voglio. Non per noi due.
“Neanch’io.”
Guardarono in giù.
Era un dipinto di tempesta e pace, quel mare che cavalcava incessantemente contro le rocce come per urlar loro il proprio eterno sentimento di passione furiosa. E ogni volta veniva respinto e si ritirava.
Ma subito dopo, dimentico del rifiuto, riprendeva con la stessa foga il suo galoppo.

“Sempre.”
“Sempre.”

Si alzarono e si allontanarono dall’abisso.
Il giorno dopo la vacanza finiva e Marco e Mara sarebbero tornati a casa.
Si fermarono dopo qualche passo.
Si guardarono sorridendo.
Si voltarono.
Si presero per mano.
All’unisono, in sintonia, corsero per i pochi passi che li separavano da quel mare e da quelle rocce, laggiù.
Superarono l’orlo dell’abisso e, tenendosi per mano, si lasciarono cadere insieme agli ultimi granelli di polvere che precipitavano nella clessidra del loro amore.

L’ultimo grido fu: “Sempre!”
In sintonia, all’unisono.

Con questo racconto ho partecipato a Theneverendingcontest n.50-S5-P10-l1

La foto è dell'autore

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Adoro questi finali.

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Non poteva finire diversamente...grazie di aver letto!

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