Mr. White

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Pennellata verso l’alto e pennellata verso il basso. Primo passata e seconda passata. Ogni singola volta ripete a voce l’azione che sta per compiere e, anche se può snervare continuare a sentire la stessa cantilena che si sussegue per ogni punto da imbiancare, posso giurare che l’enfasi che mette nel lavoro che visibilmente lo appassiona riesce a donarmi carica per un lavoro che invece io non sopporto, che faccio in attesa di una prospettiva migliore solo per racimolare una discreta somma da usare per mantenermi.

È stato il mio migliore amico a trovarmi quest’impiego, nell’impresa di imbianchini che gestisce suo padre. Gli sono molto grato per avermi collocato in un posto di lavoro dove posso sperare di guadagnare qualche soldo, ma questo lavoro è veramente noioso, non mi dona nessuno stimolo costruttivo o distruttivo, è un punto bianco che si espande assorbendo ogni altro colore che può vivacizzare l’esperienza rendendola quasi deprimente.

Alle dipendenze di Al, il padre del mio amico per chi non lo conoscesse, c’è una squadra di dieci individui, me incluso, dalle personalità più stravaganti ma tutti uniti dalla stessa repulsione per questo lavoro. Tutti tranne il signor White. Non è il suo vero nome, naturalmente. È il soprannome che gli è stato attribuito dopo anni di servizio in questo settore, nessuno è mai durato tanto quanto lui. La gente tende a stancarsi e a trovare di meglio di un mestiere come l’imbianchino, ma lui no. Lui adora il suo impiego, ed è capace di rendertelo più sopportabile, credetemi. Avere accanto una persona che prova piacere in ciò che fa riesce ad animare la tua pigrizia, a coinvolgerti nella sua gioia e a trasportarti oltre l’abisso della noia.

Al forma sempre delle coppie prima di svolgere un lavoro, così da tenersi compagnia e sollevarsi il morale a vicenda ottimizzando i tempi. Ognuno in cuor suo spera di essere accoppiato al signor White, per la magia che è in grado di regalarti nel fare un mestiere tanto ripetitivo da fiaccare lo spirito. La mattina, prima ancora che Al decida il da farsi, ognuno dei ragazzi prova a convincerlo, con parole di lusinga, ad essere raggruppato con il signor White. Tutti eccetto il sottoscritto, visto che sono ancora un novellino da queste parti.
È già la terza volta che mi capita di lavorare col signor White, è davvero piacevole stare in sua compagnia. C’è un unico particolare che mi frustra, che mi indispettisce del suo carattere così allegro e spensierato. Non interagisce mai con nessuno. Ogni volta cerco di aprire un discorso, di trovare un punto di connessione con quella figura gioconda tanto quanto enigmatica, non riesco a fare breccia nel muro che si è costruito attorno e che ha pure tinteggiato di bianco. Mi piacerebbe approfondire la sua conoscenza, è forse uno dei pochi motivi che mi tiene legato a questa posizione, che non mi facilita lasciare questo lavoro.

Quest’oggi siamo stati assegnati ad una stazione ferroviaria molto trafficata, un alone di interesse circondava la nostra postazione di lavoro, ma non il genere d’interesse che piace ricevere. La gente più raffinata passava lanciando degli sguardi truci, quelli meno fini invece gettavano insulti al vento sperando di beccarci. Detesto le persone che non comprendono il dispiacere che provo nel dare seccature, e che si sentono autorizzati a trattarmi in malo modo. Questa situazione pareva turbare anche il signor White che di solito è candido come il suo colore preferito, ma oggi la sua tonalità tendeva più verso un rosso dalla rabbia. Mi interrogavo su cosa gli suscitasse tanta agitazione, non è sicuramente la prima volta che i passanti si dimostrano insensibili nei nostri confronti, è una condizione a cui ti abitui molto velocemente.

Una volta finite le pareti interne ci siamo spostati all’esterno, lungo i binari. Finalmente un po’ di calma, questo era il pensiero che mi balenava nella mente. Il signor White invece sembrava essere passato da un piccolo turbamento ad un forte sgomento. Aveva completamente perso il suo colore abituale, quella che gli si stagliava sul volto era paura mista a collera. Sfruttando il suo momento di distrazione ho provato a varcare il muro invalicabile che lo circondava. Gli ho chiesto cosa avesse, ed iniziò a raccontarmi una tra le storie più angoscianti che io abbia mai sentito.

Era una sera d’estate. Lui e la sua famiglia, composta da una moglie e due figli, stavano tornando da uno di quei lunghi viaggi in automobile che erano tipici delle vacanze del passato. La tratta era troppo lunga per riuscire a farla in un solo giorno, così si accostò in un luogo buio ed isolato per godersi un riposo rinfrancante. La moglie dormiva sul sedile posteriore assieme ai suoi figli per rassicurarli, in quanto il posto in cui si erano fermati aveva una aria spettrale. Per lo stesso motivo aveva messo le sicure ad ogni portiera. Ad una certa ora della notte, nel dormiveglia, aveva iniziato ad udire in lontananza rumori metallici, come quelli di un treno a pieno regime. Il rumore si avvicinava, finché un bagliore accecante lo fece alzare. A distanza di un chilometro, forse meno, si trovava una locomotiva in corsa diretta verso di loro. Nel panico reagì facendo tre cose: svegliò la sua famiglia, che nell’agitazione cercarono di uscire dalla macchina, e alla fine tentò di far partire l’auto. Ma l’auto non si decideva ad accendersi. Mancava poco all’impatto, quando la scocca accese il motore e lui dette più gas possibile. Ma fu inutile, riuscì a spostare solo la parte anteriore dalla traiettoria del treno, mentre i sedili posteriori che trasportavano la sua famiglia vennero tranciati di netto.

“Se solo ci fosse stata una chiara indicazione, un segnale dipinto sulla strada di fronte a noi, ciò che è accaduto alla mia famiglia non si sarebbe mai verificato. Immagino ogni giorno di riuscire a cancellare il passato con il bianco del mio pennello e proiettarvi ciò che doveva essere la continuazione della nostra vita, mia moglie che realizzava i suoi sogni e i miei figli che crescevano e che mi inorgoglivano rendendo ogni giorno speciale. Ti chiedi perché io sia ogni giorno felice, lo sono perché oramai non abito più nel mondo presente, vivo un’esistenza parallela in cui le persone che mi sono più care al mondo, la mia famiglia, sono ancora vive. Aspetto solo in trepidante attesa la fine della mia esistenza, per potermi così ricongiungere a quella dei miei cari, ma fino ad allora con una pennellata verso l’alto e una verso il basso, una prima passata ed una seconda passata, squarcio lo spazio e il tempo per essere già là con loro”.


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Clifth

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